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I Black Lips continuano ad essere un punto fermo degli ultimi anni: pur con differenze tra i vari dischi, chi li conosce sa bene che è quasi impossibile che sbaglino del tutto un’uscita. Non fa eccezione quest’ultimo “Underneath the Rainbow”, che segue la scia del precedente “Arabia Mountain”, soprattutto per quanto riguarda l’accuratezza della produzione. Quello che ne viene fuori è un risultato comunque fruibile e lontano dalla ruvidezza di lavori del passato come “200 Million Thousands”.
Per questo nuovo disco (il settimo della loro ormai decennale carriera) il quartetto di Atlanta ha deciso di affidarsi a due produttori diversi: Patrick Carney dei Black Lips, che ha messo le mani sulla maggior parte dei brani del disco, fatta eccezione per quattro registrati a New York sotto la supervisione di Tom Brenneck. Il resto di “Underneath the Rainbow”, invece, ha visto la luce a Nashville: questo dato geografico non è casuale, anzi si ricavano alcune considerazioni sull’album. Già prima dell’uscita ufficiale la band aveva dichiarato che il nuovo lavoro sarebbe stato contraddistinto da sonorità più “roots”, come a voler recuperare le radici della musica americana.
E questo avviene in diversi momenti, ma chiaramente tutto rivisitato in chiave Black Lips. In quest’ottica rientrano dunque brani come i singoli “Boys in the Wood” e “Justice for All” o l’iniziale “Drive by Buddy”. Ci sono momenti che paiono più classicamente alla Black Lips, come la trascinante “Funny”, “Smiling” e “Make you Mine”. Da segnalare anche “Dog Years” scritta insieme a Bradford Cox. “Underneath the Rainbow” non sposta di una virgola quello che i Black Lips hanno fatto in passato, confermando però la costante qualità dei loro dischi.
73/100
(Francesco Melis)
5 giugno 2014