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Normalmente qui a Kalporz pubblichiamo la Top 7 di band storiche in occasione del loro ritorno sui palchi, dell’uscita di un album o di un importante anniversario. In questo caso non c’è nulla da celebrare, né particolari news sui Pavement da annunciare. Semplicemente, avevamo voglia di fare un omaggio a una di quelle band che non ci stancheremo mai di (ri)ascoltare.
7. No Life Singed Her (da “Slanted & Enchanted”, 1992)
C’è vita oltre il grunge e “Slanted & Enchanted”, uscito nel 1992 per l’allora giovane etichetta Matador Records, ce lo dimostra. Malkmus e compagni sono diventati negli anni a seguire un modello, definendo il proprio sound : una personalissima rielaborazione di melodie pop alla R.E.M., ritmi sghembi alla Fall su tappeti sonori noise. “No life singed her”, brano di breve durata, di due minuti scarsi, racchiude il mondo sonoro dei Pavement: manca forse il lato più melodico, emerge la vena più umoristica, ruvida e sguaiata. E’ un manifesto del lo –fi americano, al pari di certi brani dei Sebadoh, quando il lo –fi non era una maledetta moda ma un’esigenza economica delle band indie di nome e di fatto.
(Monica Mazzoli)
6. “Date w/IKEA”, da “Brighten The Corners” (1997)
Buona parte di tutte le cose cantate e suonate dai Pavement si può riassumere in un concetto molto basilare, che è anche la ragione per cui gli si vuole molto, molto bene. Quel concetto è “cazzeggio”. Cazzeggio musicale, col loro rock-pop sghembo che stava però sempre in piedi, cazzeggio nei testi delle canzoni, un po’ al di qua e un po’ al di là del nonsense. Ad un certo punto della loro carriera però, non si sa bene per quale ragione, i Pavement decidono di suonare più ordinati. Nel 1997 esce “Brighten The Corners”, il loro disco più pensato: ogni canzone cerca di non lascarsi andare ad impazzimenti e stravaganze musicali come era successo nei tre dischi precedenti (con fortune alterne). “Date w/IKEA” è la mia preferita, e forse la più riuscita: pur inserendosi nella struttura di una canzone più o meno normale, non rinuncia a essere una canzone perfettamente “alla Pavement”, con il suono storto e sgangherato delle chitarre e della voce di Stephen Malkmus e i testi che non si capiscono bene (“cosa c’entra l’IKEA?”). Bah, meglio tenersi il dubbio.
(Enrico Stradi)
5. “Stereo” (da “Brighten The Corners”, 1997)
Non illuda questa hit da classifica dei Pavement. Qui infatti ci trovate maiali, Ranger texani, Geddy Lee dei Rush, Isteria (e Malaria) a go-go. Tre minuti di musica che aprono alla grandissima il loro quarto disco “Brighten The Corners”: questa è “Stereo” ed è unica, a partire dalla strofa vorticosa con il cantato indolente e sincopato di Stephen Malkmus che sfocia in un refrain aggressivo ma dal gusto power-pop, fatto dei riverberi della chitarra di Scott Kannberg.
Al limite della ballabilità per la batteria dritta ed il basso saltellante, rappresenta una band al crocevia, all’ipotetica svolta della propria carriera. Come a dire, suoniamo al massimo delle nostre forze ma senza dimenticare che chi ci ascolta da quei sette anni e giù di lì vuole qualcosa di fresco, immediato e di nuovo speciale. L’essenza dei Pavement, al minuto 1:46: un intermezzo strumentale tra esotico e psichedelico, davvero un colpo di genio.
(Matteo Maioli)
4. “Frontwards” (da “Watery, Domestic”, 1992)
Difficile scegliere un brano solo tra le quattro gemme che compongono l’ep “Watery, Domestic”. Se una menzione d’onore spetta al singhiozzante e gommoso rock di “Texas Never Whispers”, la scelta definitiva non può che ricadere sulla generazionale “Frontwards”, perfetto esempio di ballata à la Pavement. Probabilmente il loro b-side più famoso, oltre che uno dei pezzi più amati dai fan, “Frontwards” mischia chitarre spensierate e irrequiete con liriche insolitamente dolci e (quasi) compresibili. Una canzone allo stesso tempo trasandata e armoniosa, catchy e strafottente, sotto certi aspetti perfino poetica. Una canzone dei Pavement, insomma.
(Stefano Solaro)
3. “Trigger Cut / Wounded Kite At: 17” (da “Slanted & Enchanted”, 1992)
Piccola confessione iniziale: i Pavement li ho scoperti tardi, nel 1999 all’uscita dell’ultimo disco in studio prima dello scioglimento, “Terror twilight”. Nel riascoltare a ritroso il resto della discografia, cercavo di immaginare le sensazioni di chi qualche anno prima ha sentito “Slanted & Enchanted”, senza però farmi mai un’idea precisa. “Trigger cut” arriva dopo che le melodie di “Summer Babe” hanno lasciato il segno: chitarre sghembe, melodia, riff, ritmica mai regolare. Basta quel primo lavoro, o semplicemente anche solo “Trigger Cut”, per capire come i Pavement abbiano saputo sin da subito delineare perfettamente il proprio universo musicale.
(Francesco Melis)
2. Gold Soundz (da “Crooked Rain, Crooked Rain”, 1994)
Da “Crooked Rain, Crooked Rain”, uscito per la storica Matador, “Gold Soundz” è la quintessenza della ballad americana indie rock. Con pezzi di una classe così ingenua e fresca, i Pavement si defilano insieme a pochi altri colleghi da quel filone alternative rock fatto di capelli lunghi 70s, chitarroni e approccio da arena rockers di fine secolo. L’immaginario di Stephen Malkmus e soci è tutto l’opposto: college-rock nel mood, nerd nell’estetica e maledettamente quotidiani e timidi nei testi e nell’approccio. Tra cantilene acerbe, riff e break che tagliano il pezzo come lame affilate, i Pavement oltre alle melodie hanno dalla loro delle chitarre che a vent’anni di distanza non sono mai invecchiate. Non è un caso se chi fa indie rock oggi, quello vero e puro, a vent’anni di distanza guardi sempre e comunque a gente come loro o i Superchunk e non ai più noti grandi nomi di quella West Coast tutta eccessi e testosterone.
(Piero Merola)
1. Fillmore Jive (da “Crooked Rain, Crooked Rain”, 1994)
Finale a dir poco glorioso per uno dei migliori album degli anni ’90, “Fillmore Jive” è al tempo stesso un grande atto d’accusa all’industria musicale e un ultimo addio a un’epoca che se ne è andata per sempre. In sei minuti e quaranta di epico indie-rock, un Stephen Malkums in hangover prima elemosina un pisolino, poi sputa fuori amare riflessioni e frasi sconnesse da crisi esistenziale post-sbronza. Il tutto mentre la sua chitarra e quella di Spiral Stairs si rincorrono all’infinito, in un tripudio di assoli e mini-jam. Eppure, raramente un brano dei Pavement ha suonato così intimo e personale. E forse è proprio per questo che per molti dei loro fan questa è ancora oggi La Canzone.
(Stefano Solaro)