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Avevamo lasciato Sputnikrock alle eliminatorie della scorsa estate, quando il concorso emiliano per band emergenti stava per entrare nel vivo. E ora eccoci qui, ad intervistare la band vincitrice: i Blanc Noise, quattro ragazzi che arrivano da Correggio.
Quando si tratta di intervistare una band esordiente esiste sempre, in chi scrive, una certa apprensione nel dover fornire il lettore delle coordinate musicali, le influenze, le somiglianze con quel gruppo, quel suono, quell’epoca. Fortunatamente, per quanto riguarda i Blanc Noise, sono loro stessi a mettere le mani avanti: sulla loro scheda scrivono testualmente “Genere: Rock Emiliano Dipendente (nel senso che dipende dal momento)”, e a noi basta così – almeno per ora. Il resto lo raccontano loro più in basso.
Ma prima del botta e risposta, un periodo sintattico soltanto per sintetizzarne il background: attivi più o meno dal 2009, nel 2011 decidono di cominciare a fare sul serio e da lì in poi riescono a raccogliere soddisfazioni crescenti, culminate col Premio Daolio nel 2013 e con la vittoria del già precedentemente citato contest Sputnikrock nel 2014, ma soprattutto con la produzione del loro album di debutto, “Mar dei Mai”, uscito lo scorso febbraio.
Da qui in poi, parlano quasi sempre loro. Loro che, è buona maniera dirlo, sono Filippo (chitarra e voci), Matteo (voce, chitarra). Il resto dei componenti sono Alessandro (basso) e Samuel (batteria).
Dopo aver ascoltato il disco e avervi visto live, ho maturato un concetto, e cioè che sembrate più adulti di quello che in realtà siete. Dentro al disco c’è molta vita vissuta, e viene da chiedersi: cos’è il mare dei mai? Quant’è grande? Da chi è popolato?
Filippo: Il Mar dei Mai è qualcosa che affrontiamo tutti: è il grande mare di tutti i nostri “non ho mai” e “non farò mai”. Ci sentiamo come uomini di mare sulla nostra piccola barca e strappiamo continuamente a questo grande mare qualcosa che vogliamo fare nostro e per non morire di fame.
Matteo: Il mar dei mai è grandissimo perchè deve tenere dentro tutte le possibili variabili di un istante. Istante dopo istante, cresce ricordandoti che di tutte le cose che potevi fare in quell’istante lì ne hai scelta e fatta soltanto una, le altre se l’è prese lui.
Riguardo al sembrare adulti penso che dentro di noi (e con noi intendo un noi generico) non ci sia solo un’età, non siamo solo l’età che abbiamo adesso in questo momento. Abbiamo dentro anche tutto quello che abbiamo vissuto. A volte penso anche che l’età andrebbe contata dal giorno in cui muori e non da quello in cui nasci. Se la guardi da questo punto di vista diventa tutta una questione relativa e allora puoi essere bambino, adulto, adolescente e anziano allo stesso momento.
Com’è registrare un disco? Come ve lo immaginavate, o meglio, o peggio?
F: Registrare un disco è una delle esperienze più belle che mi siano capitate. E’ un processo lungo, faticoso, intenso, morboso. Come in ogni cosa in cui ci si immerge a tratti la ami e la odi. Nel nostro caso l’esperienza è stata impagabile: abbiamo lavorato con Federico Truzzi nel suo studio Lemonhead di Carpi. Lavorare con Fede ci ha permesso di ottenere un risultato eccellente in termini di qualità della registrazione, personalmente non mi sarei mai aspettato che suonasse così bene. Come per ogni progetto intenso ci saranno sempre cose migliorabili, ma questo fa parte di una mania di perfezione che ci appartiene.
M: Noi facciamo musica suonata, non usiamo basi e tutto quello che si sente esce da mani e gole. Quindi registrare un disco, soprattutto non in presa diretta, è sempre un’azione un po’ violenta. Si deve prendere una cosa che per sua natura è emozionale e aprirla, dividerla in parti, mettere in ordine, aggiungere, togliere, poi richiudere tutto e sperare che il risultato sia intenso. Questo d’altro canto ha molti pregi, ti permette di curare maggiormente i dettagli, vagliare nuove possibilità e con Federico è stato tutto molto naturale e bello. Quando lo vedo gli dico sempre che vorrei tornare a registrare domani.
(ph. Bianca Serena Truzzi)
Nelle canzoni di “Mar Dei Mai” sembra esserci molta letteratura, e questo spinge a chiedervi: quanto e cosa leggete?
F: Leggiamo e cerchiamo di leggere tanto. Siamo persone curiose e interessate alle miriadi di campi in cui l’arte si declina. Personalmente sono appassionato e assoggettato alla letteratura dell’800: è stato un secolo così rigoglioso e pieno di capolavori che non basterebbe una vita per leggerli tutti. Un libro in particolare che ho letto circa un anno fa continuava a tornarmi in mente durante la creazione di questo disco, ed è forse quasi banale dirlo: Moby Dick. Libro incredibile.
M: Io non leggo molto. O meglio, vado a periodi. In generale leggo per urgenza personale. Ci sono momenti in cui prendo il dritto per un determinato autore o argomento e lì è fantastico perché leggere diventa davvero una goduria. Mi piacciono molto le biografie, le storie vere, i saggi sul contemporaneo. E i libri di poesia: questo perchè mi affascinano molto i significati altri delle parole,che si distaccano dai modi consueti e talvolta cristallizzati del linguaggio. Se alla fine le parole sono delle regole che l’uomo si è dato per comunicare, talvolta ti ingabbiano e per dire una cosa ben precisa che hai in testa, non sono sufficienti.
Mi è piaciuta la cosa del vostro genere “dipendente (nel senso che dipende dal momento)”. Ora però vi faccio una domanda che so essere fastidiosa: da quale genere musicale sentite di dipendere? C’è qualche gruppo che avete come riferimento?
F: Penso che il nostro stile penso sia in continua e incessante evoluzione, la curiosità e la ricerca sono la sua stessa ossatura e penso che tutto questo emerga nei pezzi che suoniamo. Artisti che nel tempo ci hanno ispirato, che abbiamo amato – poi ci hanno stancato – odiato – amato ancora, ce ne sono tanti: la nostra eterogeneità sfocia sicuramente in gran parte da questo. Ma se devo citare qualche punto fermo: dEUS, Incubus, De André, Beatles, Il Teatro degli orrori.
M: Il nostro nome dice molto: Blanc Noise, rumore bianco, una somma di tutti i rumori. Io penso che noi facciamo rock, e mi piace, perché “rock” alla fine è un contenitore senza fondo, è un atteggiamento, uno stile di vita, può andare dal Post, al Glam passando per il Kraut ed il Punk. Quando diciamo che “dipende dal momento” è un po’ per spiegare a noi stessi il fatto di amare generi molto diversi tra loro, un po’ perché per creare paesaggi diversi servono colori diversi, e infine per ironizzare sulle divisioni di genere – che ci stanno, ma fino a un certo punto.
Apprezzo molto la vostra attenzione, quasi orgogliosamente maniacale, nella cura dell’immagine. Al release party del disco avete pure allestito una mostra con le copertine che nel corso del tempo avete scartato, prima di sceglierne definitivamente una. A questo punto, è ovvio che vi chieda: come avete scelto la cover del disco (qui sopra, ndr)? E cosa rappresenta?
F: La copertina è stata il risultato di un lavoro lunghissimo e non semplice, ma il risultato ci rende molto fieri. Con un titolo come “Mar dei Mai” volevamo qualcosa che ricordasse il mare ma non c’entrasse direttamente con la sua immagine “materiale”. Abbiamo optato per un tratto di tempera che sia anche materico, un grumo che sembra ribollire e ricorda un’onda in tempesta. La sua particolarità è che essendo guidato dal caso è irripetibile. Per me, personalmente, questo pone l’accento sull’idea del tempo che passa veloce, della casualità, dell’irripetibilità di tutte quelle cose che vogliamo strappare al Mare dei Mai prima che sia troppo tardi. Infine, l’unico modo che l’uomo ha trovato per “imprimere” e ingannare il tempo è la rappresentazione dell’immagine, e da qui l’idea di incorniciare il gesto in una foto, come a volerlo fermare per un attimo.
M: L’attenzione maniacale (mi fa piacere che l’abbiate notato) è in parte deformazione professionale dovuta alle scelte universitarie e in parte una predisposizione di gruppo al fare le cose “in casa”. L’idea per la copertina è partita dal titolo del disco e da lì abbiamo passato tre mesi o quattro a proporre varianti sul tema. Poi a un certo punto, dopo una trentina di tentativi (non scherzo) ci siamo resi conto che il titolo diceva già molto e che togliere invece che aggiungere poteva essere la strada.
Siete arrivati alle finali regionali dell’Arezzo Wave. Mettete da parte la modestia che comunque vi fa onore, e diteci: quanto vi sentite pronti, nel caso dovreste farcela ad arrivare in fondo? In ogni caso, i miei auguri sinceri ce li avete.
F: In ogni caso crepi il lupo. Siamo pronti a tutto e non siamo mai abbastanza pronti a nulla! L’Arezzo Wave era uno dei nostri obbiettivi e abbiamo aspettato che venisse il momento giusto. Pensiamo che questo sia il tempo, quindi ci impegneremo al massimo per ottenere il meglio possibile da questa esperienza.
M: Ti ringraziamo. Noi siamo pronti, la macchina l’abbiamo caricata, l’accordatore Fillo l’ha preso, Bevs tu porti l’ampli da basso, Sam l’altra band ti porta la batteria, io porto la testa. Chi sa la strada?
Qui sotto, lo streaming di tutto “Mar Dei Mai” dei Blanc Noise: