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Affidare al sottoscritto la recensione del nuovo disco dei Noel Gallagher’s High Flying Birds è puro conflitto di interessi. Dal primo Berlusconi all’ultimo Mattarella, per metterla in politica? Garantisco che è difficile essere imparziali nel trattare un affare che hai fatto strettamente tuo dall’adolescenza in poi; la musica prodotta da “The Chief” resterà sempre colonna sonora principale di storie, rivoluzioni, mood, sbronze, vittorie e sconfitte.
Da che sei cresciuto con la sua musica, l’hai amato e odiato. Nei momenti di gioia l’hai anzi venerato, per quel senso di libertà e comunanza che la sua musica sa infondere. L’altra faccia della medaglia, volendo essere cattivelli, è che hai scoperto la musica di tutti gli altri grazie al suo pregevole gioco di copia-incolla. Sono certo che gli amici più stretti si precipiteranno a reperire a fondo articolo la valutazione in centesimi della Facoltà di Kalporz, ma li invito prima a leggere la disamina critica del secondo lavoro dell'(ancora per poco?) ex-Oasis.
Il primo fattore da considerare è temporale, ovvero la data di uscita del disco. Infatti si tratta di una produzione cominciata a metà anno scorso: il primo singolo “In The Heat Of The Moment”, rivalutato a forza di continui play e che non so perchè, mi ricorda alcune cose dei Duran Duran, è datato Novembre. Il seguito, “Ballad of The Mighty I”, con il veterano Johnny Marr ospite alla chitarra solista, convince meno – troppo nell’ombra di “What A Life”, il pezzo si adagia sul crescendo del chorus e suona piatto e monocorde. “While The Song Remains The Same” è un altro momento ben poco caldo, nonostante la grazia dell’arrangiamento in stile seventies americani; non per nulla, rimane fuori dalle scalette dei primi concerti, destino comune di “The Girl With X-Ray Eyes”. Se in “Waiting For The Rapture” (da “Dig Out Your Soul” del 2008) la fonte di ispirazione erano Jim Morrison e soci, qui l’arpeggio iniziale non si discosta di una virgola da quello più celebrato della storia del rock, ovvero “Stairway To Heaven”.
Il gioco di rimandi diviene oggi di fondamentale importanza per il Nostro, non più l’adolescente ribelle cresciuto nei sobborghi industriali di Manchester ma la Rockstar di stanza a Londra obbligata a non scontentare nessuno con il suo pop-rock adult-oriented. Ma dove sono finiti l’ardore e la classe di gioventù, vi chiederete?
Per il primo vi rimandiamo alla nuova (e maliziosa) veste di un pregevole demo realizzato più di vent’anni fa, nonchè a “The Mexican”, una delle canzoni uscite dalla paventata collaborazione con gli Amorphous Androgynous, bella sospesa tra echi glam e chitarre di scuola Eric Clapton.
Se invece parliamo di classe – di quella purissima e cristallina – scelgo due brani, lasciando di poco fuori la floydiana “Riverman” che si candida a futuro successo radiofonico. “The Dying Of The Light” e “The Right Stuff” entrano di diritto tra i capolavori del repertorio, come aveva fatto solo “If I Had A Gun” dal disco precedente: Gallagher le piazza non a caso a centro album, raccontando due storie che sembrano confluire l’una nell’altra. Da un lato parliamo di una ballad riconducibile ai fasti di “Wonderwall” e “Slide Away”, magari più intimista e confidenziale, poichè il tema dell’Io e Te contro il Mondo” è lasciato a fondo pagina (“I keep on running but I can’t get to the mountain / Behind lie the years that I mis-spent / And I’ve been sinking like a flower in the fountain / When all the love I’m gonna need is Heaven sent. […] But It’s alright / If you dance with me tonight / We’ll fight the dying of the light and we’ll catch the sun”). “The Right Stuff” si rivela piuttosto il manifesto di un Rinascimento artistico e spirituale, nel duetto tra le voci di Noel e Joy Rose congiuntamente a quello tra sassofoni e chitarre scintillanti. I migliori cinque minuti prodotti da Noel Gallagher nel nuovo millennio sono tutti racchiusi in questo semplice verso, “Out of the blue I heard an angel say / Give me your soul and I’ll be on my way / You and I got the right stuff”.
La valutazione finale di “Chasing Yesterday” (al numero 1 delle classifiche UK e nelle prime dieci del Resto dell’Europa) è quindi media tra la sufficienza risicata che si meritano i pezzi più derivativi e l’optimus garantito da una manciata di classici. Ma sicuramente coloro che lo vedranno in azione nelle arene e nei principali festival del 2015 avranno di che fregarsi le mani.
70/100
(Matteo Maioli)