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C’era una volta nel 2007, manco troppo tempo fa, una band inglese che, non curante dell’ondata accompagnata dall’improprio termine “nu rave” faceva incetta di pubblico suoni electro e fluostick. Lontani da tutto quell’immaginario che si sgonfiò nel giro di un anno i Late of The Pier avevano stupito subito con la loro creatività che attingeva a piene mani dai classici, Bowie in primis, rimodernizzandoli. Una serie di singoli che anticiparono l’unico disco “Fantasy Black Channel”, pubblicato nel 2008 e prodotto da Erol Alkan, primo sostenitore di quel progetto. Come tante volte capita però un gruppo con grandi premesse decida di sciogliersi, cosa che avvenne nel 2010.
Ora Sam Dust (al secolo Sam Eastgate), ex chitarrista e cantante dei Late of The Pier torna sulla scena come LA Priest e un album intitolato “Inji”. In realtà il moniker LA Priest non è una novità assoluta dato che sempre il 2007 e il 2008 era comparso con Ep, “Engine”, orientato sull’elettronica. Ora con “Inji” Sam Dust libera ancora di più la propria creatività e il proprio estro per creare un disco vario e con sonorità particolari, che pur non tralasciando citazioni passate ha gli occhi ben piantati sul futuro. Giocando tra citazioni glam (ancora il Bowie degli anni ’70 e, in parte, i Roxy Music) e brani dal piglio più elettronico, l’eclettico artista inglese dimostra di non aver perso quella sua capacità di saper comporre con profitto brani praticamente quasi tutti gli ambiti musicali. Questo non vuol dire che “Inji” sia un lavoro disomogeneo, anzi.
Tutti brani seguono infatti una linea precisa univoca. Però tra i dieci episodi del disco non si può non notare la cadenza vagamente funk di “Learning to Love” qui unita a “Party Zute”, il singolo “Oino” dai ritmi storti ma allo stesso tempo coinvolgenti, o l’arrangiamento di classe di “Lady’s Trouble With the Law”.
Forse è azzardato dire che “Inji” rappresenti il sound del futuro, ma ci si avvicina molto.
84/100
Francesco Melis