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Un po’ di tempo fa, parlando di musica italiana bella tra amici, sono stato sconvolto da una frase che si era completamente estraniata dal contesto per diventare un mantra torturatore all’interno del mio cervello – e della mia coscienza. La sentenza, entrata di prepotenza e senza alcun preavviso nella conversazione, era la seguente: “che cazzo ascolti Giorgio Canali, che è il Vasco Rossi degli indie?!”. Ohibò. Mantenere la calma, negare con forza e cominciare a riflettere. C’è della verità in questa frase? E se sì, quanta?
Dopo questo simpatico scambio di vedute, la preparazione al concerto di Giorgio Canali con i Rossofuoco è diventata estenuante, anche a causa della dipartita del Tender Club che avrebbe dovuto ospitare il gruppo il primo di Aprile (R.I.P. Tender, mi manchi già tantissimo).
D’altra parte non si può negare che il biondo di Predappio abbia una certa…responsabilità per quello che è successo in ambito “indie-canzone d’autore” negli ultimi dieci anni in Italia, sia per il suo lavoro solista (in tal senso seminale) che va avanti dagli anni ’90, sia per la sua veste di produttore, che ha visto tra i tanti lavori sfornati quel “Canzoni da spiaggia deturpata” de Le Luci della centrale elettrica che ha un po’ cambiato la percezione della canzone d’autore post-2000.
Ma dall’altro lato della medaglia, il Canali ha sempre portato avanti un percorso fatto di ricerca sonora, coerenza e attitudine punk e provocatoria che mi hanno fatto innamorare dei suoi dischi e portato, infine, alla festa di chiusura dell’Auditorium FLOG il 7 Maggio.
Anticipato dai set dei sempre piacevoli Solki e di Cappadonia, il nostro compare sul palco accompagnato dai fedeli Rossofuoco ed accolto da un pubblico abbastanza entusiasta. Il concerto parte leggermente sottotono, e propone inizialmente diverse pezzi da “Perle per porci”, l’ultimo lavoro in studio di Canali che racchiude diversi pezzi di musica italiana amati dal leader dei Rossofuoco ma sconosciuti perlopiù al grande pubblico.
Non tutte le canzoni però suonano con il tiro desiderato, ma tra un pezzo e l’altro riescono comunque ad uscire momenti memorabili, bestemmie urlate a frequenza da catena di montaggio e un paio di poghi molto carini. Il set di Canali purtroppo non dura molto, e concentra una buona fetta di scaletta nelle cover di cui si parlava sopra (insieme ad una bella versione di “I Wanna Be Your Dog” degli Stooges), riservando ogni tanto qualche pezzo del suo repertorio, tagliando purtroppo gran parte delle canzoni più punk e ‘pestone’ che rappresentano le produzioni del Canali che amo di più.
Come da consuetudine, Giorgio nel cantare cambia la metrica e i testi, non lascia punti di riferimento al pubblico, a tratti spaesato per l’assenza dei cori da stadio che qualcuno cercava di fare, prima di prendersi qualche insulto dal buon Canali, che scaccia così il fantasma di Vasco Rossi che stava tornando a fare capolino da dietro le spalle.
In fondo, quello che diceva che “Giorgio Canali è il Vasco degli indie”, mica aveva ragione. In primis perché Giorgio Canali di fare ‘il Vasco’, lo zio buono che accoglie tutti per un momento di buona compagnia, non ne ha nessuna voglia. Piuttosto sono sicuro che prenderebbe i suoi fan delle prime file a calci nelle gengive, o si inventerebbe qualche altro metodo sadico per dire “bella festa ma ora tornatevene a casa vostra”. Anche la programmatica assenza dell’encore fa parte di questo processo, chissà quanto intenzionale e quanto per più semplice attitudine, di de-spettacolarizzazione del concerto.
Regge ancora bene, il buon vecchio Canali, agli anni e i dischi trascorsi. Altri mille -e più- di questi concerti. Anche se, magari, suonati più veloci.
Di seguito le foto del live, a cura di Teresa Bucca
(Matteo Mannocci)