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Per molti il festival è andato sold out prima del solito, solo grazie a loro. I Radiohead sono alla loro attesissima prima volta al Primavera Sound. Thom Yorke ci è passato solo da spettatore nel 2009 quando fece tappa a Barcelona per assistere da dietro le quinte al live del suo idolo Neil Young, e, ovviamente per fare un giro in città. Prima della band di Oxford, però, ci aspetta la solita esaltante maratona pomeridiana, inaugurata dallo show last minute degli Shura nel mini palco Firestone. Tra i nomi pop elettronici più intriganti della nuova scena britannica, non deludono le attese e rappresentano il perfetto sottofondo pomeridiano di decompressione. Almeno nelle prime ore, al Parc, le sovrapposizioni sono piuttosto gestibili con un po’ di sonorità “classiche” da Ben Watt, passando per i White Fence, il chitarrismo adulto di Steve Gunn, e l’atteso live di Alex G, l’introverso nerd anni 90 che fa una figura molto migliore del chiacchieratissimo Car Seat Headrest.
Un po’ di aria nuova, tra tutte queste chitarre, arriva da Moses Sumney, risposta black/soul al songwriting d’avanguardia. Tra le cose più contemporanee e promettenti apprezzate nel weekend.
Promossi a protagonisti di uno dei palchi principali (un po’ come Mac De Marco due anni fa), un’altra band canadese che si è fatta conoscere in infuocate esibizioni al Pitchfork si guadagna spazio da pre-headliner. I Titus Andronicus e il giusto riconoscimento a uno dei live act più sinceri della indie rock contemporanea. Dal crepuscolo in poi inizia la fatidica fase delle scelte. Si preferisce NAO e il suo r&b ultramoderno alle cantilene dei Beirut e poi si inizia già a preparare il pre-Radiohead. Mai si era visto un tale assembramento di pubblico. In molti già da tante ore. Trovare una posizione privilegiata a meno di quindici minuti dall’inizio dello show è un’impresa ardua. Meglio godersi il live, assai dimesso e molto teatrale e funereo, da una posizione di relativo isolamento. I volumi non sono altissimi, la scaletta privilegia il lato più intimo ed emotivo del loro sterminato repertorio. Perfezionisti, non troppo coinvolti e ancora meno loquaci del solito, regalano “Creep”, piuttosto rara tra i fan europei, per rendere ancora più storico il loro primo passaggio al festival catalano. Per godersi questo momento si storico, purtroppo, si rinuncia a Dinosaur Jr., Sophie, Jay Rock e Tortoise (oltre ai “resident” Shellac), ma si riesce se non altro una volta lasciata l’area sulle note del classico, a raggiungere il palco Pitchfork dove una delle nuove band indie rock più attese del weekend, sta dando spettacolo per i radical che hanno ignorato i Radiohead per i Royal Headache. Piccoli inni, gran momenti singalong, e tanto cuore per i quattro ragazzi australiani.
Ai Last Shadow Puppets si preferiscono gli Animal Collective che dopo un paio di esibizioni in chiaroscuro tra eccessi di sicurezza e sperimentazione e il solito rischiosissimo gusto per l’improvvisazione e lo svarione, con la nuova formazione a tre più batteria vera, finalmente riconquistano i cuori dei più scettici frequentatori del festival. Holly Herndon con le sue visioni dal futuro, ci accompagna finalmente nella notte (da intendersi per gli orari spagnoli, ovviamente) prima dell’inedito live delle due di notte dei Beach House. Guardare il loro palco e il loro fondale è un po’ come guardare un cielo stellato. Orario molto strano, ma che rende l’esperienza davvero indelebile.
L’unica voglia sarebbe quella di mettersi a letto, ma c’è ancora un po’ di adrenalina da smaltire sulle selezioni dell’infallibile DJ Koze che si presenta sul Pitchfork Stage dopo Evian Christ.
Sembra passato già un mese, tante le performance omesse o perse, ma in fondo siamo già al secondo giorno.
Gli highlight:
15:27 – “Oggi è il giorno dei #radiohead e uno spagnolo delle Canarie mi spiega come imbucarsi a nuoto nel Parc”
16:40 – “A volte per iniziare servirebbe sempre roba come Shura”
17:52 – “I White Fence fanno sempre bene all’umore”
18:57 – “ALEX G, una botta di anni 90 da quattro nati negli anni 90″
19:19 – “Il cuore dei Titus Andronicus”
19:22 – “Tra tante certezze, qualche nome su cui scommettere. Moses Sumney su tutti”
20.10 – “Steve Gunn accompagna il tramonto sul mare”
20:39 – “NAO ammalia. Quando arrivano le sonorità black si abbassa l’età media e il numero di italiani.”
23:37 – “Vista l’impossibilità di fare foto vi diciamo di più con la scaletta dei Radiohead. Una liturgia. E poi Creep alla fine”
00:18 – “I Royal Headache sfocati com’è giusto che sia”
0:51 – “Gli Animal Collective tornano ogni due anni e han capito che devono usare la cassa”
2:57 – “Lacrime di Beach House“