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Una delle band più fragorose della scena americana arriva finalmente sotto la tettoia dell’Hana-Bi. Succede quello che deve succedere. Nove amplificatori, formazione a quattro chitarre. A quelle degli spietati Ryan Rousseau, J.S. Aurelius e Nick Nappa si aggiunge quella più improbabile dell’inossidabile Don Bolles, batterista nei mitici The Germs e di recente per Ariel Pink, qui nelle vesti di chitarrista noise molto improvvisato (a un certo punto usa una Poretti da 33 come slide). Come mi confida, non conosce nemmeno un brano dei Destruction Unit. L’importante è fare casino. E i sei ci riescono quasi senza scomporsi troppo. Difficile, molto difficile dopo i primi due brani distinguere la scaletta di un assedio hardcore ai limiti del powerviolence. ZZ al basso e l’imprendibile batterista Andrew Flores tengono in piedi tutto. Magistralmente. I tempi in cui il compianto Jay Reatard suonava con la band dell’Arizona sembrano lontanissimi. Meno desert, meno lo-fi dal retrogusto psichedelico, i Destruction Unit sparano il punk a una velocità supersonica che li avvicina alla scuola Discharge più che a Sacred Bones. L’assedio dura forse un’ora, forse qualcosa in meno o qualcosa in più.
Prevale un senso di disorientamento che, di questi tempi, si manifesta sempre più raramente alla fine di un live.
E i timpani sembrano ancora interi.
Foto di Chiara Viola Donati (Instagram: @chiaraviolenta)