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Le manie di grandezza sono deleterie. Ne sanno qualcosa i Muse, grandissimi interpreti – come al solito – di un live al Palamalaguti di Casalecchio tanto impeccabile dal punto di vista esecutivo quanto freddo per la coreografia da luna park che lo accompagnava, il che inevitabilmente condiziona il giudizio generale del concerto.
Luna park: come non definire altrimenti un mega schermo (e fin qui…) dove scorrevano le immagini più sconclusionate fra loro (fiamme, bambini, stelle…), una scenografia costituita da due gru (!) posizionate in modo da formare un rettangolo e un cono luminoso che a volte scendeva inglobando letteralmente il batterista Dominic Howard? A molti tutto questo scintillare potrà essere risultato grandioso, potrà aver ricordato i concerti epici degli AC/DC quando si esplodono fuochi d’artificio e volteggiano dollari sparati da cannoni, oppure avrà rimembrato mastodontici Eddie che camminano lungo il palco degli Iron Maiden donando un’immensa sensazione di onnipotenza. A noi è sembrato alla stregua di una semplice, pura, esibizione di cinema 3d a Gardaland.
Chissà se i Muse hanno delegato tutto questo, e non si siano minimamente interessati delle scelte coreografiche, oppure se l’ambaradan visivo sia stata una loro precisa scelta per ammaliare e autocelebrarsi un po’. Non ci interessa in fondo saperlo, così è e così dobbiamo prendere atto che i Muse sono al loro apice, al punto di maggiore fulgore come tutta questa imponenza dimostra. Sintomi di autoreferenzialità a pacchi.
Peccato solo che la scenografia neanche si fosse nel Pop Mart Tour mal si abbini con la musica già enfatica di per sé dei Muse stessi, provocando una spirale all’ennesima potenza che manda in tilt ogni calcolatrice che cerchi di misurare il livello di supponenza sul palco.
La musica? In fondo si sta parlando di un concerto, obietterà qualcuno. Certo, i Muse dal vivo sono forti, e al Palamalaguti hanno piazzato intepretazioni da bulldozer: “New Born” e “Plug In Baby” su tutte, ma anche “Hysteria” e “Stockholm Syndrome”, oltre alla conclusiva “Knights of Cydonia”. Versioni spaccasassi senza star troppo a pensare se al pubblico arrivava anche l’emozione o solo la botta. Per quattro minuti comunque qualcosa si è espanso dal palco per sfiorare l’inconscio dei presenti: è la durata di “Sunburn”, già, quella lontana “Sunburn” che suonata così, con Bellamy solo al piano senza toccare la chitarra (neanche nell’assolo!) è stata, beh, quasi magica. “A kind of magic”, dicevano quelli. A voi notare che tutto ciò è accaduto non appena i Muse hanno abbassato il ritmo e si sono ricordati che un concerto non è un circo.
Avvertiteli, mi raccomando, Moira Orfei è già preoccupata.
Scaletta:
Map of the Problematique
Butterflies & Hurricanes
Supermassive Black Hole
New Born
City of Delusion
Starlight
Forced In
Bliss
Feeling Good
Sunburn
Invincible
Time Is Running Out
Plug in Baby
Take a Bow
Hysteria
Stockholm Syndrome
Hoodoo
Knights of Cydonia
(Paolo Bardelli)