Share This Article
Un esperimento ben riuscito. Si potrebbe definire con queste semplici parole la prima edizione del Rome Psych Fest, andata in scena lo scorso 1 e 2 ottobre al Monk di Roma. Come in quasi tutte le manifestazioni al loro esordio i margini di crescita esistono e sono notevoli, cosa che fa ben sperare per i prossimi anni. Sicuramente è stato uno spaccato quanto più esaustivo di quello che può fornire attualmente il mondo della psichedelia in senso ampio, sia all’estero che in Italia. Purtroppo all’appello sono mancati i francesi J.C. Satàn, per un problema tecnico al furgone, ma nella giornata di sabato, tutte le altre band hanno fatto il modo che il pubblico si dimenticasse di questo piccolo neo.
Il compito di inaugurare il Rome Psych Fest viene quindi affidato agli italiani Edible Woman, in un particolare set di basi, drum pad e chitarre che sviluppa la parte più fluida e psichedelica del duo. Il palco è quello più intimo e raccolto dei tre previsti in questa due giorni romana. Un set rilassato che fa da ottimo preludio a quello che verrà dopo. In primo luogo The Gluts, che inaugurano il palco principale con un misto di sonorità che va al di là di un solo genere. L’impatto sonoro della loro esibizione dal vivo non passa inosservato.
Di seguito una delle piacevoli sorprese della prima giornata: i Levitation Room. Il quartetto texano ci mette poco a conquistare il pubblico (aumentato notevolmente proprio poco prima dell’inizio del loro set) attraverso una serie di melodie e di chitarre che non fanno altro che attingere a piene mani da una certa tradizione garage pop 60s statunitense. Nulla di nuovo dunque, ma lo stile e la bravura dei musicisti assieme alla qualità dei brani, impreziosiscono i trenta minuti abbondanti della band. Il livello continua a restare alto con il concerto dei Winstons. Il terzetto italiano non ha certo bisogno di presentazioni: Roberto Dell’Era, Enrico Gabrielli e Lino Gitto assicurano sempre prestazioni tecnicamente perfette. La psichedelia della band guarda soprattutto a quel rock di Canterbury che aveva fatto breccia negli anni ’70. E per quanto le sonorità siano fedeli a questa linea non mancano i tocchi di personalità, per definire un esempio piuttosto unico nell’attuale panorama italiano. Mentre Tess Parks si esibisce in un set sul terzo palco, i Big Mountain County tengono alta la tensione in attesa del live dei Clinic. Stupisce come il quartetto romano riesca a tenere il palco, con una presenza che farebbe invidia a formazioni più navigate. Il momento più atteso della serata è senza dubbio l’unica data italiana dei Clinic. La storica formazione di Liverpool è ultimamente avara di concerti e questo fa venire a galla un po’ di ruggine, che tuttavia non incide negativamente sul live romano. Ade Blackburn e soci si sono mossi in una scaletta che ha raccolto momenti più recenti (dall’ultimo “Free Reign”, di quattro anni fa) fino ad arrivare ai primi singoli del fulminante esordio di “International Wrangler”.
La giornata di domenica in generale è stata appena meno affollata, ma allo stesso tempo ha continuato a regalare emozioni. Dalla partenza affidata ai torinesi Indianizer, autori di un coinvolgente mix tra psichedelia e ritmi particolari dalle influenze più disparate proseguendo per i londinesi Oscillation, che dal vivo riescono come sempre a trascinare la platea in un viaggio di suoni e sensazioni. Anche l’altra band inglese della serata, gli Ulrika Spacek, ci mette poco a farsi apprezzare dal pubblico del Monk. In questo caso il sound è meno granitico ma riesce ad abbracciare più generi, spingendosi anche verso lo shoegaze in alcuni momenti. Un nome interessante da tenere d’occhio per il futuro. I madrileni Parrots invece si muovono su ben altri territori, ripercorrendo il garage rock stile Black Lips. Chiaramente derivativi, ma il concerto rimane comunque godibile e divertente. Un altro segnale della estrema varietà del cartellone di questo primo psych fest romano. Il finale è caratterizzato dai Julie’s Haircut, di ritorno nella capitale dopo un po’ di tempo: un live come sempre impeccabile che conferma la band come il nome italiano più importante quando si parla di psichedelia. D’altra parte l’avvicinamento dei Julie’s Haircut verso questo genere è avvenuto a poco a poco, ma nel modo più naturale possibile. La chiusura migliore che ci poteva essere per il Rome Psych Fest.
(Francesco Melis)
10 ottobre 2016