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Un dubbio turba la serenità di questo inizio decennio: che la musica inglese abbia ancora qualcosa da dire? Certo, si dirà, ovvio, nelle ultime settimane, negli ultimi mesi, si è affermato il nuovo profeta della dubstep James Blake, e la rivoluzione sembra appena iniziata. Forse un certo fermento poteva però essere registrato oltremanica anche prima della consacrazione del ragazzino nerd con voce alla Antony. Il caso degli Everything Everything, band di Newcastle attualmente di stanza a Manchester, ne è la prova: dopo l’uscita di una serie di singoli, accolti per altro da un qualche successo di pubblico e critica, in seguito rapidamente confluiti in questo “Man Alive”, e la firma con la prestigiosa Geffen, i quattro ragazzi sono presto giunti all’onore delle (limitate) cronache come una delle realtà più vitali dell’innegabilmente asfittico panorama rock made in UK di fine decennio. Una scena, o meglio una serie di scene, che ad esclusione di qualche caso isolato (Bat for Lashes), grandi ritorni (Portishead), e certezze acquisite (Radiohead), non produceva rilevanti novità dall’ondata frettolosamente classificata punk-funk di metà anni duemila.
Jonathan Higgs (voce, chitarra e laptop), Jeremy Pritchard (basso), Alex Robertshaw (chitarra) e Mike Spearman (batteria), propongono un album impegnativo e sicuramente di qualità, denso di sfumature e frutto di un evidente lavoro di scrittura, sebbene talvolta segnato dall’essere in buona parte una raccolta di singoli. Il disco, dotato di una notevole complessità e stratificazione, mostra per altro alcuni evidenti debiti, della cui sommatoria è effettivamente il risultato: ad una base marcatamente art-rock, con relativo profluvio di falsetti e cori, si vanno ad aggiungere immediatamente gli echi di quello che qualche anno fa era chiamato new rave, ed in generale di tutto ciò che si è prodotto proprio in Inghilterra nell’ultimo periodo. Nello specifico non può che ricordare Bloc Party e Klaxons il vigoroso incedere di canzoni come “My Kz, Ur Bf” o “Scholin’”. Ma è nel complesso che l’album sembra legato a molta della più o meno recente produzione albionica, come se fosse sentita l’esigenza di fare i conti con quanto è stato, attraverso una sorta di riassunto critico, di summa della musica da Madchester a “In Rainbows”: pezzi come “Final Form” spaziano tra basi elettroniche tutt’altro che minimaliste e cauti arpeggi legati senza remore alle atmosfere pacificate di un Thom Yorke in stato di grazia (spirituale) forse per la prima volta in carriera. In effetti la parte centrale dell’album appare largamente influenzata dagli ultimi, o meglio penultimi, Radiohead, attraverso la proposta di un pop elegante venato di elettronica e scandito dalla notevolissima creatività del batterista Mike Spearman, davvero una sorpresa, in particolare per duttilità e capacità di caratterizzare un suono altrimenti rischioso, tendente a perdersi in una miriade di idee, non sempre estremamente ordinate.
Ed è proprio il pop, un pop molto energico, l’aspetto forse più rilevante nel suono degli Everything Everything: pezzi come “Photoshop Handsome” e “Suffragette Suffragette” (singolo quest’ultimo, datato addirittura 2008), mostrano una apprezzabile disposizione alla melodia, sempre però scossa, turbata, modificata geneticamente, da un canto aspro, e da chitarre che improvvisamente acquistano volume saturando l’aria. Qualcosa di non del tutto dissimile dalle prove migliori dei Modest Mouse che, seppur su un impianto profondamente differente, si connotavano appunto per un dualismo tra carica e armonia, tensione e spazi di relax. Non solo, è l’intera struttura del disco a mostrare alcune affinità con, ad esempio, “The Moon & Antarctica”: la densa sovrapposizione di elementi molto riconoscibili ma combinati in modo da non poter essere facilmente isolati, la forma-album impegnativa e necessitante un ascolto prolungato, il binomio forza-dolcezza tipico di un certo indie-rock.
“Man Alive” possiede quindi molte delle caratteristiche che lo rendono un prodotto di qualità, ma, avendo questa recensione il privilegio di essere scritta a qualche mese dall’uscita del disco, e potendo così godere di uno sguardo “da lontano”, le previsioni intorno al futuro del collettivo di Manchester non possono essere del tutto rosee: appare in effetti piuttosto facile profetizzare che un Bignami di electro-rock UK come quello in questione debba prossimamente scontare il cambio di paradigma imposto alla scena inglese da XX e dal già citato James Blake. Silenzi e ritmi in levare non sono infatti, nonostante il rimarchevole eclettismo percussionistico di Spearman, elementi disponibili nel bagaglio degli Everything Everything.
Adeguarsi o perire, il prezzo di ogni autentica rivoluzione?
68/100
(Francesco Marchesi)
21 Marzo 2011