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Nella vita di un frequentatore abituale di concerti è facile tendere a sottovalutare l’attesa di uno show, pensare che ogni sera sia più o meno una come le altre, un po’ di più o un po’ di meno.
Ma non sempre si è anestetizzati. Se venisse a suonare sotto casa vostra, che so, un artista di fama mondiale la cui musica ti ha decisamente aperto gli occhi verso le potenzialità del suono -e del rumore-, potrebbe mai essere una sera come tante?
Eh no; quindi era facile immaginare che la giornata che mi separava dal live di Alva Noto al cinema La Compagnia di Firenze sarebbe stata un’infinita notte di Natale per un bambino.
Mister Carsten Nicolai, meglio conosciuto con il nome di Alva Noto, è uno dei più importanti della storia della musica elettronica, con i suoi esperimenti sul glitch e sull’applicazione del rumore ad una composizione elettronica. I suoi lavori sia in singolo che con collaboratori d’eccellenza (Ryuichi Sakamoto, Blixa Bargeld, Ryoji Ikeda, Mika Vainio…) sono colonne di una delle carriere più interessanti che un artista contemporaneo ci possa offrire.
L’eclettico produttore tedesco ha avuto l’onore e l’onere di aprire i giochi del Nextech Festival, rassegna di musica elettronica fiorentina giunta all’undicesima edizione e che quest’anno è sbarcata sull’inedito palcoscenico del cinema La Compagnia.
Ad introdurre la serata c’è Gea Brown, artista multimediale e storica dell’arte, che presenta un live a tratti titubante ma decisamente interessante: una performance a metà tra musica e teatro, in cui voci di persone intervistate da Gea rispondono all’apparentemente semplice domanda “chi sei?”, il tutto sopra un tappeto ambient gestito discretamente da Gea, che prova nel finale del suo set a rispondere alla stessa domanda che aveva posto agli intervistati.
Ma in un battito di ciglia è Alva Noto ad occupare lo spazio centrale del palco de La Compagnia, andando subito ad elettrizzare l’aria. Lo schermo del cinema comincia a prendere vita e seguire l’andamento della musica con delle visual coloratissime, schizofreniche ed epilettiche; il volume continua a salire, e quando sembra che sia arrivato un momento di relativa calma, ecco che arrivano delle martellate, dritte in mezzo agli occhi.
E si è completamente inermi davanti al muro audiovisivo creato dal tedesco: intrappolati nei suoi pattern fenetici e nelle immagini, rappresentazione visiva del suono, siamo come in trance, in balia dei suoi alti e dei suoi bassi, dei rallentamenti e delle repentine accelerazioni.
L’ora o poco più del set passa in un tempo indefinito, che potrebbe essere cinque secondi o cinque settimane, ma per fortuna Noto torna poco dopo alla sua postazione per regalarci un inaspettato e sentitissimo encore, dove finalmente anche lui abbandona i panni del musicista super serioso e si fa prendere, giusto per un po’, dall’eccitazione del momento.
Vicino a me un ragazzo chiede: “ma ‘sta roba non sarebbe meglio da ballare?”. Me lo sono chiesto, durante e dopo il live, e l’unica risposta che sono riuscito ad elaborare è un deciso ‘no’. No perchè nonostante i BPM alti, la cassa frenetica e la presa bene generale, un set di Alva Noto è qualcos’altro. Significa rimanere per quasi un’ora e mezzo in un limbo tra il mondo reale e il piano ideale della musica, dove riuscire ad esplorare frontiere del suono, dove il clubbing e la ricerca si incontrano perfettamente a metà strada.
(Matteo Mannocci)