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Ho dovuto ascoltare “All Melody” (uscito lo scorso 26 gennaio per Erased Tapes) una quantità innumerevole di volte per cercare di entrare nello spirito in cui Nils Frahm può averlo realizzato. Dall’uscita di “Spaces” (2013), album considerato spartiacque per la sua carriera, nel quale vira da un ambient neoclassica verso un’elettronica più convinta, l’autore tedesco ne ha combinate un po’ di tutte: ha collaborato di nuovo con l’artista islandese Ólafur Arnalds e con F.S. Blumm, ha prodotto la colonna sonora di “Victoria” di Sebastian Schipper (che personalmente ho trovato fondamentale – e meravigliosa – per la buona riuscita del film), ha partecipato ad un progetto di cortometraggio con Woodkid e ha pubblicato un paio di album di pezzi solista per celebrare il pianoforte come suo compagno di vita.
Insomma, di certo il nostro non se n’è stato con le mani in mano, eppure ascoltando e riascoltando “All Melody” non posso fare a meno di pensare che per produrre un disco del genere una persona debba stare per un periodo di tempo indefinito esclusivamente in ascolto. Ho faticato a collocare questo lavoro dentro una qualche logica perché ha l’ambivalenza di essere un legittimo continuo della ricerca di Frahm come anche un distacco da tutto ciò che finora ha prodotto. E non solo per la quantità di nuovi apporti sonori inseriti (trombe, organi, cori, sintetizzatori in abbondanza), né per il nuovo spazio in cui l’album è stato registrato (il Funkhaus Berlin, studio di registrazione risalente agli anni 50 che Frahm ha acusticamente sistemato alla perfezione negli ultimi due anni per questo LP); tutto ciò può rendere un percorso musicale estremamente innovativo e stimolante se un’artista è alla ricerca di nuove strade, ma non è questo il caso.
“All Melody” si presenta come una riflessione circolare, che parte con un’intro corale il cui titolo parla da solo: “The Whole Universe Wants To Be Touched”, esplicativo per l’atmosfera palpabile che da questa prima traccia va a formarsi senza interrompersi, sinuosa e universale, nel senso di terrena e cosmica, umana e eterea. Frahm vuole toccare con la musica l’universo intero e, per quanto pretestuoso, a mio modesto parere ci riesce con risultati più che discreti. Le voci umane si mescolano nel corso di quest’ora e un quarto con strumenti che le mimano, dialogano con loro (le trombe di “Human Range”), per raccogliersi in un momento di solenne e quasi catartica chiusura in “Momentum” e “Kaleidoscope”. Le tracce centrali, “Forever Changeless” e per l’appunto “All Melody”, racchiudono la doppia anima del suo autore: nella prima, il soffio neoclassico, le origini e in qualche modo il confortevole ritorno al rifugio familiare, il pianoforte (con costanti echi del miglior Max Richter); dall’altro, uno sguardo al contemporaneo, la sperimentazione acustica, l’organo registrato e sintetizzato, come un percorso naturale, senza picchi né clamori. I pezzi si susseguono l’uno dopo l’altro e per quanto differenti tra loro non se ne distingue l’inizio e la fine, in una trama setosa, impeccabilmente riflessiva, onesta.
Non me la sento di dire, come tanti hanno fatto, che si tratti della sua fatica migliore. Lo avverto più come un eccellente punto di raccolta della sua evoluzione artistica, pacata, avvolgente ed estremamente matura. Mentre scrivo lo riascolto ancora, e non posso fare a meno di chiedermi cosa mai avrebbe potuto combinare Nils Frahm al posto di Philip Glass come produttore della colonna sonora nella trilogia “Qatsi” di Godfrey Reggio. A questo punto non resta che augurarmi una prossima collaborazione tra i due.
85/100
(Chiara Toso)