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Una domanda: c’era veramente bisogno di un altro disco dei Franz Ferdinand? A leggere le recensioni positive ed entusiaste che webzine e riviste specializzate hanno finora riservato all’album, la risposta sembrerebbe che “Si, cazzo, c’era un bisogno enorme di questi ragazzotti di Glasgow!”.
D’altronde erano 5 anni che Kapranos & Co non si riunivano in studio per registrare. Ci avevano lasciati con quell’album con le frecce rosa su sfondo nero in copertina, di cui nessuno ricorda più il titolo (“Right Thoughts, Right Words, Right Action”) e che qualche pezzo interessante ce lo aveva pure fatto sentire, tanto che in molti hanno esclamato “Ehy! Ma sono quelli di Take Me Out!”. Non che fossero cambiate tante cose dal quel 2004 in cui i Franz Ferdinand esordivano con una freschezza e una brillantezza incredibili. Nati con l’intento di essere una band rock and roll che suona musica da dancefloor, gli scozzesi si erano fatti apprezzare fin da subito per il tiro trascinante dei loro brani, per i riff melodici e orecchiabili delle due chitarre in pieno stile new wave, e per quel tocco glam che dava al loro sound un’impronta un po’ sbarazzina e un po’ paracula che, anche se non ti piacciono, il piede te lo fanno muovere lo stesso.
Una roba che è durata giusto un album, perché i due dischi successivi sono stati niente di più che imbarazzanti riproposizioni di una formula diventata presto scontata, e che ha rivelato una mancanza di originalità che tanti, a dire il vero, avevano intuito fin dall’esordio. Ecco allora una pausa di riflessione durata 4 anni, per poi tirare fuori un quarto album in cui si prova a riprendere le orme del primo disco, senza troppo successo e senza troppa convinzione. D’altronde se sei una band che vuole fare musica rock da ballare come se fosse dance, e se nonostante hai quattro album alle spalle, le uniche canzoni che mandano i DJs in consolle sono sempre e solo “Take Me Out” e “Do You Want To” (salvo qualcuno più audace che si spinge fino a “Tell Her Tonight”) beh, qualche cosa che non funziona nella musica che fai ci dev’essere.
E così ecco altri 5 anni di silenzio, prima di ritrovarsi in studio per un altro tentativo, ma stavolta con un Nick McCarthy di meno: “ho bisogno di stare con la mia famiglia” dice, augurando a Kapranos e soci un roseo e brillante futuro artistico. Che per chi ha avuto un minimo di esperienza dentro alle dinamiche di una band il tutto suona come un: “Raga, ma che davvero vogliamo fare un altro disco? Ma voi non ce l’avete Netflix?” E invece niente, non si cede di un passo, anzi si gioca al rilancio. L’intento è addirittura quello di creare un nuovo genere, un nuovo sound: natural futuristic lo chiama Kapranos. Parole nuove per vecchi programmi: una musica che sia suonata e ballabile allo stesso tempo.
E così ecco “Always Ascending”! Per la registrazione di questo quinto disco, il cui titolo è tutto un programma motivazionale, si uniscono alla band l’ex chitarrista dei 1990s, Dino Bardot, e il polistrumentista Julian Corrie (aka Miaoux Miaoux, nome noto agli aficionados dell’electropop). Dopo una campagna acquisti stellare, in stile Fassone e Mirabelli, per spostare definitivamente gli equilibri verso le luci stroboscopiche i Franz Ferdinand si affidano a Zdar, ovvero a metà dei Cassius. Il risultato è un album che vorrebbe divertire, ma che suona vecchio, stanco, povero di idee e di groove: nella canzone d’apertura, che dà il titolo all’album, Kapranos canta nel ritornello “We can see fate / As entertainment / Bring me a cup / But bring me water”. C’è qualche timido accenno funky e soul (Paper Cages, Lazy Boy), timide incursioni synthpop di seconda mano (Lois Lane), persino una suite house con tanto di assolo di sax in stile Frankie Knuckles (Feel The Love Go).
E scopriamo così che il nuovo “sound del futuro” si rivela essere nient’altro che una scopiazzatura imbarazzante dei Roxy Music (The Academy Awards potrebbe benissimo essere cantata da Bryan Ferry) e di tutto il filone pop-elettronico dei primi 80’s. I 39 minuti del disco sono tutti qui, se ne vanno via così come sono arrivati, lasciandoci ancora con quella domanda dalla quale siamo partiti: c’era veramente bisogno di un altro disco dei Franz Ferdinand?
35/100
Gianpaolo Cherchi