Share This Article
New York è, in fondo, una piccola città. Una sera un tizio è a vedere Oz Noy al Bitter End di Bleecker St e il giorno dopo lo si incontra in giro a Central Park, peraltro senza neanche usare aggeggi basati sulla Propulsione d’Improbabilità della “Guida Intergalattica per gli Autostoppisti”. Lou Reed può entrare, come un pensionato qualsiasi, nella caffetteria all’angolo in cui stringete la vostra cup. Persino i concerti hanno gli stessi rituali che in un localino italiano perso tra gli appunti del vostro TomTom: “questa canzone la dedico a mia cugina”, “a mia sorella”, per non parlare dell’immancabile “ciao mamma!”, sul quale ovviamente noi italiani vogliamo i diritti d’autore anche quando lo pronuncia un americano in amerigano.
Può capitare dunque, perché a noi è capitato. E ciò fa essere New York ancora più perfetta.
Ci sono dunque degli stimoli neuronali che vanno riportati del sottobosco musicale di questa città perfetta: tra tutti i Chewing Pics, trio di Brooklyn insieme da soli sei mesi con una tarantolata volontà di spaccare il culo: Niama urla e si contorce come in preda ad una danza vodoo (Lisa Bonet in “Angel Heart”?) mentre la sezione basso-batteria sola soletta spinge il tutto alla velocità dei Rage Against The Machine con accento psichedelico. Nei prossimi giorni su Kalporz la recensione del primo ep dei Chewing Pics, dal titolo – c’era bisogno di chiederlo? – “Tarantula” (2008).
Chewing Pics:
I Chewing Pics si sono esibiti alla Arlene’s Grocery di Stanton St, assieme agli sciaquetti Minipop di San Francisco, che in teoria dovevano essere gli headliner della serata ma il cui poppettino tra Coldplay e Cranberries non diceva poi un granché (“A New Hope”, Take Root Records, 2007).
Minipop, “Like I Do”:
E se Niama è bella, che dire del fascino memorabile di Domino Kirke? La 25enne figlia d’arte di Simon Kirke, batterista dei Free e dei Bad Company, che nel 2006 ha aperto il tour di Lily Allen, ha donato al Joe’s Pub di Lafayette St un’esibizione di classe, come se i No Doubt si fossero vestiti in frack ed ascoltassero i Blonde Redhead. In realtà quanto si può ascoltare sul suo Myspace, tratto dall’ep “Everyone Else Is Boring” (Allido, 2007), è piuttosto diverso dalla resa live di Domino che è più essenziale e con suoni meno fm-oriented, per cui occorrerà aspettare quanto la ragazzetta sta registrando ora per capire se il disco full-length atteso per il 2008 rispetterà quanto è, ci è parso di capire, l’anima vera di Domino. Anzi, sarebbe sufficiente allegare al cd un dvd per far vedere lei, con quell’atteggiarsi da gattina a metà tra una Carla Bruni ventenne e Liv Tyler di “Io Ballo Da Sola” e quella voce da Kazu, e il gioco sarebbe fatto.
Domino Kirke:
Anche il video cotonato di “The Coolest Boy On Earth” è del tutto cannato.
Domino Kirke, “The Coolest Boy On Earth”:
Classicamente indie invece quello di “Green Umbrella”:
Domino Kirke, “Green Umbrella”:
Poi si potrebbe parlare della fiera e fascinosa Bowery Ballroom, dei Long Blondes e degli apripista Drug Rug e The Subjects, ma tanto ne parlerà il Folegati dunque perché farlo? Oppure si potrebbe raccontare del Delancey ma i concerti quella sera erano già finiti, era rimasta una dj che metteva su i Jackson 5 e dunque nulla di buono da narrare.
Hercules and Love Affair allo Studio B di Williamsburg invece lo avremmo invece voluto documentare, dobbiamo arrenderci a Pitchfork che ce l’ha fatta e noi no.
Evvabé, a New York può capitare anche che le cose vadano come dovevano andare.
(Paolo Bardelli)