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E’ stato un venerdì particolarmente intenso per la musica il 25 maggio 2018, data di uscita di almeno una decina di album molto attesi sia a livello internazionale che nella nostra piccola penisola. Tra greggi di cantautori italiani e rapper statunitensi, per qualcuno – gente malata, sicuro – ha avuto precedenza l’ascolto dell’ultima fatica di Kamaal Williams, “The Return”, pubblicato dalla label di sua proprietà da poco inaugurata. Quei malati a cui s’è appena accennato hanno conservato nel cuore i fasti di un progetto durato meno di un gatto sulla A4, i pirotecnici Yussef Kamaal, che due anni fa con “Black Focus” avevano fatto sognare in primis il buon Gilles Peterson e poi di conseguenza il pubblico appassionato di jazz e musica storta in giro per il mondo. Fortunato chi li ha visti dal vivo, ovvero, andando a memoria, coloro che erano presenti nelle tre/quattro date italiane nel dicembre 2016 (Jazz:Re Found di Torino su tutte)… e nulla più. Per le solite “private and unforseen reasons”, prima dell’estate del 2017 il batterista Yussef Dayes si separa da Williams, lasciandolo solo per i restanti concerti del tour che vengono ribattezzati sbrigativamente “The Kamaal Williams Experience”, un nome da band che fa le cover pacchiane ai matrimoni.
E’ da questi burrascosi eventi che prende forma “The Return”: Williams sul suo sito è il primo a dire che “questo disco è la natura evoluzione del progetto Yussef Kamaal”, e che si tratta nuovamente di jazz contaminato da tutto ciò che si può sentire per le strade di Londra, dall’hip hop più fighetto alla fusion funky della Mahavishnu Orchestra di Billy Cobham. E’ impossibile ascoltare questo album senza pensare di continuo a “Black Focus”, basando il proprio giudizio critico sul paragone tra il prima ed il dopo Yussef Kamaal, dal momento che lo fa l’autore stesso dell’opera sapendo – forse – di aver raggiunto il massimo di quello che può offrire dal punto di vista dell’originalità creativa (dal titolo di questa recensione potete notare come ha chiamato la sua nuova casa discografica).
Rispetto al progetto precedente, in “The Return” si respira un’aria meno “free” e più razionale, privata di preziosi colori come trombe, sax e spoken word, ma Williams alle tastiere rimane un musicista capace di dipingere sconfinati paesaggi sonori, e di far divertire parecchio chi sbava dietro a tempi dispari e virtuosismi. La perla è infatti l’inafferrabile “Catch The Loop”, uscita parecchio tempo fa come singolo di lancio, dove sintetizzatori e batteria si cercano per poi incontrarsi dopo due minuti di folle inseguimento cartoonesco. Il disco è un gradevole viaggione urbano in una metropoli affollata, che sia Londra (“LDN Shuffle”, giustappunto, con un assolo maestoso di Mansur Brown alla chitarra), o Milano, città dove il tastierista si è esibito lo scorso anno, registrando durante quel live la morbida “Situation” e sbattendola a metà tracklist. Insomma, “The Return” è la seconda stagione di una serie tv che ha avuto un esordio esplosivo e che i fan continuano a guardare con affetto anche se è morto uno dei protagonisti e la trama diventa un po’ più banale e ripetitiva.
69/100
(Stefano D. Ottavio)