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Gli australiani The Goon Sax stanno crescendo. “We’re not talking” (2018), secondo disco del trio jangle pop di Brisbane, è il passaggio di tre ventenni dall’adolescenza all’età adulta: la malinconica spensieratezza e inadeguatezza da teenager liceali di brani come “Sometimes Accidentally” – una delle canzoni più rappresentative del disco d’esordio, “Up To Anything”, del 2016 – si sta trasformando nella ricerca ansiosa della propria strada di vita fatta di amori, cambiamenti e interrogativi (difficili da risolvere), “I’ve got problems that I don’t know how to deal with / And I’ve got issues that I don’t wanna be seen with / And I think it’s time that I found, I found something real / New ideas.” recita il testo di “Lost Love”, secondo traccia dell’album.
Il linguaggio (musicale) della band per raccontare e narrare questo universo complesso di sentimenti ed emozioni è ad ogni modo sempre lo stesso : il pop. Un termine quest’ultimo che, oggi, è sempre più complicato da definire. Louis Forster (voce, basso e chitarra del gruppo, nonché figlio di Robert degli storici The Go-Betweens) ha però ben chiaro cosa significhi per il suo gruppo, “penso che il pop sia qualcosa che esiste in molte forme e ogni tipo di musica. Nei dischi jazz ci sono alcune parti che sono molto pop. Immagino che la nostra idea di pop sia una cosa molto occidentalizzata, e viene fuori in forme divertenti; per me il [pop] soddisfa qualcosa di umano e di subconscio – o dovrebbe “ racconta a Daily Bandcamp.
Le idee di “pop” della band si sono, però, nel corso della realizzazione del lavoro, scontrate con quelle dei due produttori del disco – Cameron Bird, James Cecil (entrambi Architecture In Helsinki) – e da questa “tensione”, così l’hanno definita i Goon Sax in diverse interviste, l’universo guitar pop, sgangherato e naif degli esordi, ne esce arricchito : se già in partenza, il trio voleva fare un album più pulito e ragionato (più versioni di ogni singola canzone), alla fine il gruppo si è ritrovato a sperimentare nuove direzioni sonore, pur sempre riconducibili alla cifra stilistica della giovane formazione australiana. Resta centrale il nucleo chitarra-basso-batteria ma i brani si stratificano in più livelli sonori, a cui tutti (e tre) componenti contribuiscono componendo, suonando e cantando, come mai prima : le parti dei vocali spesso si intrecciano – è il caso di “She knows” – e nuovi elementi strumentali come synth (“We can’t win”), drum machine, fiati e violini (“Make Time 4 Love”, la già citata “Love Lost”) entrano nella forma canzone del trio.
I tre lavorano, quindi, di addizione. Ma, a volte, anche di sottrazione scrivendo brani minimali come “Now you pretend” – solo piano e voce – o “Somewhere in between”.
L’impressione è, comunque, che la scrittura dei Goon Sax si faccia sempre più matura, un passo avanti rispetto all’esordio “Up to Anything”.
Non paragonateli ai Go-Betweens, però. Forster (figlio) dichiara (a Rolling Stone) di non averli mai ascoltati. Ed è difficile credergli.
72/100
(Monica Mazzoli)