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When The Bird Sees The Solid Ground. Un progetto inusuale per Kristian Matsson, in arte The Tallest Man on Earth, sviluppato nel corso di tutto il 2018.
Molti l’hanno definito un “progetto multimediale” ma non credo, personalmente, si possa considerare la definizione più corretta per questo EP: composto da cinque inediti, è stato gradualmente svelato dallo stesso Matsson canzone per canzone nel corso di quest’anno, dalla prima uscita di An Ocean, a marzo, fino all’ultima traccia Then I Won’t Sing No More, rilasciata lo scorso 13 settembre.
Valutando questo nuovo lavoro dal punto di vista puramente musicale, con uno sguardo alla carriera del cantautore svedese attivo dal 2006, non si può certo dire che lo stile semplice e diretto che lo contraddistingue l’abbia abbandonato; nome di rilievo per la scena folk indipendente europea, The Tallest Man on Earth è sempre stato un caposaldo del folk più puro, con timide sperimentazioni e aggiunte sonore nell’ultimo album pubblicato, Dark Bird Is Home (2015), in cui pianoforti, violini e cori rubavano ogni tanto la scena al solito connubio di chitarra e voce che ha fatto la fortuna della sua carriera.
In When The Bird Sees The Solid Ground, invece, non è tanto l’aspetto musicale il punto di svolta per Matsson, quanto lo scopo che quest’ultimo si è prefissato di ottenere da questa ultima fatica: fatica che in questo caso si è riversata tutta nel mettersi personalmente a nudo, faccia a faccia con la videocamera, mese dopo mese, in una sorta di video diario a puntate. Ad ogni traccia, infatti, l’ascoltatore può entrare piano piano nell’abitazione, nei boschi, ma più di tutto nelle confessioni di The Tallest Man on Earth, che ad ogni videoclip (completamente girato e montato dallo stesso cantante) introduce i propri pensieri e le proprie paure nei confronti del proprio processo creativo, dell’ansia di salire sul palco, della propria tendenza all’isolamento, del vuoto compositivo, prima di regalare ai propri fan delle meravigliose esibizioni in acustico sul divano o sul letto di casa, in totale intimità, di ogni traccia rilasciata.
È proprio questo approccio confessionale al proprio lavoro, vissuto come piccolo percorso di autoanalisi, che rende questo ultimo progetto più particolare e decisamente degno di attenzione: la possibilità di poter vivere concretamente la differenza di una stessa canzone eseguita in acustico per il piacere di farlo in solitudine, e subito dopo poterla apprezzare come traccia registrata in studio, con tutte le deliziose aggiunte di fiati che proseguono la ricerca stilistica di Mattson nel provare delicatamente nuovi interventi sonori (vi assicuro che la differenza tra le due esecuzioni è notevole e stupisce per la diversa potenza e perfezione del live acustico e, invece, per la leggerezza delle registrazioni in studio).
Particolarmente segnalate: Forever Is a Very Long Time versione studio, Down In My Heart versione acustica.
Voto: 69/100
(Chiara Toso)