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Foto di Edgar Peters
Fernando Junquera Ruíz , originario di Zaragoza, è una figura importante della scena underground valenciana : nei primi anni duemila, insieme al fratello Marcos Junquera, è anima e corpo di numerosi progetti musicali. In bilico tra post rock, math core, surf rock e post hardcore : Salchicha, Balano, Estrategia lo capto!.
Ma non solo, oltre la musica suonata c’è di più : Fernando Junquera è stato anche collaboratore della fanzine Chilena Comando e aggregatore di idee di suono e di sperimentazione come nel caso de La Orquesta del Caballo Ganador, collettivo fondato (nel 2008) insieme (ancora una volta) al fratello Marcos e dedicato all’improvvisazione musicale, nella più totale libertà creativa e artistica.
Negro, progetto solista di Fernando Junquera, parte sempre da lì, dalle stesse premesse : dalla necessità di sperimentare con il suono, espressione diretta dell’atmosfera dell’attimo, del luogo, del tempo in cui il musicista si trova. Il punto di partenza è quello di creare un climax sonoro, un’unione tra musica e ambiente. O meglio nelle parole del diretto interessato :“crear un clima con el sonido y hacer que la gente se meta dentro del ambiente que estoy tocando” (da un’intervista di RTVE a Negro nel 2014).
La chitarra è il nucleo compositivo di Negro, il cuore pulsante di un universo in espansione, in continuo divenire e diretto verso scenari imprevedibili : da una parte un istinto creativo, genuino e autentico vicino all’american primitivism di chitarristi come John Fahey e dall’altra un’enfasi, tipica della musica ambient, sul rapporto tra suono e mood atmosferico.
Dal 2007 ad oggi sono usciti tre dischi in studio a nome Negro, l’ultimo, “Clase Media”, è stato pubblicato a giugno di quest’anno e viaggia, come non mai, per immagini, racconti sonori tratteggiati dal lavoro chitarristico onirico di Fernando Junquera : otto brani strumentali, a cui corrispondono altrettanti quadretti d’insieme, suggestioni e ricordi accennati o immaginati di paesaggi e di persone. Per esempio “Piquitos”, la traccia in apertura, vuole – nelle intenzioni dell’autore – “trasmettere la contemplazione di una grande montagna innevata”* ; invece, un brano come “Benicarló Tuareg” è ispirato dalla città di Benicarló, dai suoi abitanti di origini marocchine e dai concetti di immigrazione (ed emigrazione) e nomadismo.
E così, anche canzoni, che durano tre minuti, sembrano narrare un universo infinito di suoni, quasi con approccio psichedelico e slowcore, apprezzato anche (e soprattutto) da Chris Brokaw (Codeine, Come) che ha scritto la nota stampa dell’album, “Negro occupa uno spazio unico nel nuovo panorama musicale, una fessura di poesia chitarristica e deriva ambient che in pochi stanno esplorando oggi, e ‘Clase Media’ è un disco nel quale perdersi man mano che suggerisce nuove direzioni”.
E mai descrizione fu migliore. “Clase Media” è davvero un album in cui emmergersi, per poi uscirne a fatica.
*virgolettato tratto dall’articolo “Una a una: “Clase media” (Negro)” racconto, track by track scritto da Negro sul sito Verlanga
(Monica Mazzoli)