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EL SÒRRIO è un misterioso progetto elettronico che da qualche settimana ha invaso i social, soprattutto per chi frequenta i Milano e i giri musicali che vi ruotano attorno. Difficile dare una definizione precisa. Ciò che colpisce subito è la scelta di pubblicare a partire dal 28 settembre un video-mixtape a episodi con cadenza settimanale, “ESCE TUTTO”, (una produzione TVS distribuita da La Tempesta Dischi), il cui “finale” sarà online a metà novembre.
Clubbing, elettronica psicotropa, ossessioni lo-fi, colpi di testa vapor wave e una tensione narrativa dissacrante e disincantata che racconta per immagini la Milano dei club, dei rave, della crisi economica, delle droghe e di quella sensazione deprimente di non essere mai al posto giusto al momento giusto. La stessa Milano raccontata da MYSS KETA, ma in maniera più delirante, criptica ed elusiva.
Concepito dal duo creativo TVS e dalla collaborazione con filmmaker e artisti italiani (Giada Bossi, Giulio Scalisi, Tommaso Lipari, Simonetta Leonora AKA @defollowami), ESCE TUTTO è pensato per essere visto e ascoltato contemporaneamente. Dalle atmosfere tarantiniane e zoofile di “My baby so cold” , all’omaggio alla periferia settentrionale di “Volo via con te”, passando per il sogno conturbante e virtuale di “The Narcissist III” e la cena bagnata di “Pyno 4”, le ansie di prestazione di “Mara Mannara” , il tutorial feticista di “Bei Piedini”, i dialoghi rubati alle ragazze/farfalle di “Proemotional II 7” , e l’inno alla bromance in chiave clubbing di “Antonio’s House” , “ESCE TUTTO” è già disponibile per intero su Spotify.
Abbiamo incontrato questo misterioso producer di cui non possiamo rivelare identità, sembianze, fattezze e origini per farci descrivere i 7 personaggi che hanno ispirato El Sorrio.
D. BOON
(1958 – 1985)
Cantante e chitarrista dei Minutemen, che forse non tutti sanno essere la miglior band di tutti i tempiTM, autori tra le altre cose del miglior disco rock di tutti i tempi. Di D. Boon mi piace tutto, dalla stazza allo styling, dalla voce da salumiere gentile alla capacità di concepire assoli di 8 secondi e riff a metà strada tra il country e la samba. Era anche un ottimo illustratore. Come tutte le grandi rockstar, muore a 27 anni in un incidente stradale.
Non saprei che pezzo mettere, quindi scelgo quello che mi ha fatto innamorare: ”Viet Nam”
DEVO
(1972 – )
Amo i DEVO per 3 motivi: la grande immagine coordinata, i video, e le tematiche delle canzoni (mastrubazione compulsiva, gli uomini patata, i mongoloidi, il futuro che fa schifo). Ah, e le tutine di gomma, perché vengono tutti da Akron, Ohio, la capitale mondiale della gomma, che è anche il posto dove sono nati LeBron James e Stephen Curry.
Il pezzo del cuore è, inevitabilmente, “Mongoloid”.
DJ RASHAD
(1979–2014)
La prima volta che ho sentito un disco di Rashad era il 2011, ero in metro e il disco era Just a Taste vol.1, e ho capito che c’erano vie che portavano al punk che non passavano per i negozi di chitarre.
La mattina della sua morte mi sono sentito come deve essersi sentita una sedicenne nel ‘94 alla notizia del suicidio di Kurt Cobain. Cuore, droga, stile, tutti a grandi dosi. Incredibile come, in un genere abbastanza quadrato come il Footwork, una sua produzione sia palesemente riconoscibile entro i primi 20 secondi. Mi spiace solo non essere andato a sentirlo quando passò per Milano nel 2013 – ero preso male.
I primi pezzi di El Sòrrio erano sostanzialmente cover sue, di questa in particolare: ”Love U Found”.
QUASIMOTO
(1973 – )
Poche cose mi hanno folgorato come The Unseen, la C maiuscola nella frase “la Conferma che la droga fa bene alla musica”. In un (good) trip da funghetti, Madlib capisce che il suo prossimo disco sarebbe stato uno sforzo a due tra lui stesso e una sua nemesi a fumetto, una specie di Mr. Hyde con la voce pitchata alta che si comporta nel modo peggiore possibile in ogni situazione, e con cui intrattiene per tutta la durata del disco una specie di dibattito sui temi che gli stanno più cari, come snerdare su artisti jazz misconosciuti o parlare di erba o di piedi che si muovono da soli. Avete presente quei dischi dove non si skippa mai una traccia? Ecco.
Mi ha insegnato tanto. Pezzo prefe: “Put A Curse On You”.
RZA
(1969 -)
Della lista di cose che piacciono a me e a RZA citerei: samurai, api killer, meditazione, New York, kung-fu, hardcore rap e fotta per un certo tipo di cinema pulpeggiante. RZA, come se non bastassero il gusto per i sample polverosi e la finezza di un macellaio miope nel tagliarli, ha, come del resto anche DJ Gruff, la voce più clamorosa della sua balotta (imho), che usa per spennellare paesaggi desolati la cui unica cosa a cui potersi aggrappare è una rigorosa etica personale fatta di blunt, Hagakure e self–discipline. Maestro.
Dovessi scegliere qualcosa, forse “You Can’t Stop Me Now” per il coretto di bambini che lo introduce. Ma basterebbero le strumentali dei primi 3 dischi del Wu–Tang Clan per mettere fine alla discussione su chi sia stato il miglior producer degli anni ‘90.
DEAN BLUNT
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Dean ci insegna che l’unico atteggiamento possibile per sopravvivere a questi tempi incerti è sbattersene semplicemente il cazzo. Purtroppo tutti i video che aveva postato su YouTube, che sono tutti dei piccoli capolavori, sono stati tolti l’anno scorso e solo lo sforzo di qualche diligente fan sta cercando di recuperare l’archivio di gemme che questo santone del brutalismo musicale ci aveva regalato, e poi sottratto. Cosa dire di Dean Blunt? Che si veste benissimo, innanzitutto. Che tre quarti delle sue produzioni sono impubblicabili perché si appropria di sample altrui che nemmeno il primo Bello Figo Gu, e quindi vai di bootlegs su SoulSeek. Che è un poeta, indiscutibilmente. E che è una delle poche voci controcorrente degli anni 2010s. Mi piacerebbe tanto fosse mio amico. Metto questa come traccia perché il video è molto bello, non perchè sia meglio di altro: Dean Blunt & Inga Copeland, “9”.
Se solo Hippos In Tanks fosse durata di più 🙁
STEFANO TAMBURINI
1955-1986
Tamburo non è esattamente un musicista ma è proprio questo il motivo per cui l’ho scelto – neanche io sono esattamente un musicista. E poi la foto con i DEVO dietro mi sembra chiuda il cerchio. Stefano Tamburini ha fatto un sacco di cose, anche se forse la più pesa (Ranxerox) è quella che mi ha toccato meno. Snake Agent è uno dei fumetti più geniali che abbia letto, e quell’attitudine a inculare le cose degli altri (erano fotocopie stretchate di un fumetto anni ‘50, con testi che parlano di anfetamine, anisa e ubiquità) è sicuramente una cosa che mi ha passato. L’impianto grafico di Frigidaire è stato scopiazzato da tutti i fichetti che sono seguiti, e probabilmente se avesse potuto continuare, Neville Brody spostati. Detto questo, di musica Tamburini se n’è occupato ne ha fatta, anche molto bella, sotto lo pseudonimo di Mongoholy–Nazy. Questo il mio pezzo prefe del disco, e questo un pezzo di Valerio Mattioli che lo racconta meglio di me.