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C’è una rassegna alla sua terza edizione, in collaborazione con la collana discografica 19’40’’ e l’ensemble Esecutori di Metallo su Carta.
Si chiama ContempoRarities e si svolge a Santeria Social Club di Milano nei giorni 25 novembre, 9 e 16 dicembre.
Perché merita parlarne? Beh, innanzitutto perché è diretta emanazione della parte più oscura dell’amigdala del sottoscritto, che in tanti anni di studi classici (ai tempi) e di militanza rock’n’roll ha ammassato una quantità di stimoli da non riuscire più a stiparli nell’intimo.
Con me l’amico e sodale Sebastiano De Gennaro ha riversato nelle limacciose acque delle ibridazioni (che brutta parola, mio dio) una enorme quantità di idee in stato solido, liquido e gassoso. Poi c’è Francesco Fusaro e Tina Lamorgese che hanno rimestato con arnesi e mestoli in questa pentolona bollente, fornita gentilmente dall’amico Effe Punto e il Santeria Social Club, spazio “altro” perfetto.
Il risultato è questa rassegna di musica classica, anti-classica e contemporanea.
Una costante di ContempoRarities sono gli strumenti acustici ibridati con amplificazione e l’interazione con immagini: un piano d’appoggio narrativo e cinematografico, utile ad una fruizione per tutte le età. Negli scorsi anni tutti gli episodi della rassegna hanno visto alternarsi i sound reacting visual di Andrew Quinn (Pictures at an Exhibition, The Planets, Professor Bad Trip: part I) e i disegni in tempo reale di Olimpia Zagnoli (Histoire du Soldat) e di Pietro Puccio (All my robots, Lesiman/Paolo Renosto). Il secondo elemento eterogeneità è l’interazione costante con “artisti della narrazione”, voci recitanti come Stefano Panzeri, Matteo Lanfranchi/Effetto Larsen e (quest’anno) Francesco Bianconi dei Baustelle.
Un terzo elemento di collaborazione è con realtà non strettamente appartenenti all’immaginario colto: dunque band o pop group come The Winstons (Pictures at an Exhibition) e i Calibro 35 (Lesiman/Paolo Renosto) che si interfacciano in stretto dialogo gli Esecutori di Metallo su Carta e approccio di lettura degli spartiti diversificato.
ContempoRarities rompe le gerarchie culturali tra ciò che è colto e ciò che non lo è e tutto galleggia in un’apparente assenza di gravità: all’interno della rassegna coesistono con disinvoltura musiche suonate su partitura, atteggiamenti filologici, trascrizioni e sabotaggi. Il tentativo è quello di consegnare ad un tempo futuro la definizione di “classicità” lasciando sospesi nel presente tentativi di cristallizzazione, idolatria o intoccabilità. Per definire questa condizione, la collana discografica 19’40’’, di cui ContempoRarities è emanazione, usa un termine intermedio di musica anti-classica, che può significare che tutta la musica è toccabile, passibile di modifica, di re-visione o di rinnovato acceso entusiasmo. Il luogo, Santeria Social Club, è il perfetto connubio tra spazio d’ascolto e luogo di avvenimenti popolari in cui non è assolutamente richiesto all’ascoltatore nessun codice culturale, nessuna pregressa formazione di ascolto specifica, ma solo semplicemente sana curiosità e puro gusto del divertimento.
CR2018 dunque, si propone di fornire un kit di elementi che il pubblico può montare a suo piacimento e costruire un nuovo binocolo per scrutare l’orizzonte dell’ascolto.
In breve e nel dettaglio: domenica 25 novembre alle h18 l’ensemble Esecutori di Metallo su Carta con i visual di Andrew Quinn eseguiranno il seguente programma dal titolo vagamente caustico “Anti-Minimalismo Italiano”:
Franco Battiato (1945)
L’Egitto prima delle sabbie (1978), per pianoforte
Franco Donatoni (1927-2000)
Lumen (1975), per ottavino, clarinetto basso, viola, violoncello, celesta e percussioni
Paolo Castaldi (1930)
Scale (1970), trascrizione per flauto, clarinetto, violino, violoncello, pianoforte e vibrafono
Giacinto Scelsi (1905-1988)
L’Âme Ailée (1973), per violino solo
Fulvio Caldini (1959)
Synchronia in quartetto op. 80/b (2001), per clarinetto, violoncello, pianoforte e marimba
Alvin Curran (1938)
Saltando in Padella (2005), for any instrument
Una valida alternativa al titolo di questo programma era ODI – AMI sintesi perfetta e antitetica di sei lettere chiave che messe assieme
potrebbero dare molte informazioni di ciò che il mondo colto contemporaneo italico pensa di alcune cose in fatto di musica scritta.
Ecco uscire fuori questo strano chiasmo “Odio degli Italiani: Anti Minimalisti Innati” che nella sua farraginosità da rebus esprime un concetto
fondamentale che i più non sanno: i musicisti di musica contemporanea europea di area accademica odiano il minimalismo musicale.
Nel rock si usa spesso il termine “minimalista” come sinonimo di rarefazione, di pochi eventi sparsi in qua e in là, di arrangiamento minimo (appunto, da qui l’equivoco).
È un po’ lo stesso problema del termine “futurista”, usato a caso per dire qualcosa proiettato nel futuro o “cinematico” che erroneamente lo si dice a proposito di musica
apparentemente adatta allo scorrimento di immagini. Rimettendo le parole nello scaffale, Everything in Its Right Place canta mr. Thom Yorke, “Futurista” significa qualcosa legata al movimento Futurista e “Cinematico” qualcosa che semplicemente prosegue con il movimento, in senso meccanico. Alla stessa maniera “Minimalista” significa qualcosa in stretta connessione con lo stile musicale omonimo. Oppure con il movimento architettonico, da cui trae all’origine ispirazione e da cui Michael Nyman nel suo celebre Experimental Music: Cage and Beyond del 1974, prese in prestito per approfondire e definire tutta quella massa di gente di lingua anglosassone che faceva la musica lenta, ritmica, accordale, ad incastro, piena di zen e nipote dello zig zagante pensiero Cageano.
L’Italia, la Francia e la Germania non hanno mai avuto reale necessità di ridurre a pochi parametri l’intenzione compositiva: avete presente cosa c’era lì nel Settecento, nell’Ottocento e nel Novecento? Quali macigni culturali? Quale pesanti bagagli storici da trascinarsi dietro?
Ma oltre a non adottare la mentalità minimalista nel contesto di studio accademico, il passaggio immediato è stata diventarne avversi nemici ideologici.
Oggidì, essendo la politica molto lontana da chiunque, i toni si sono fatti molto meno accesi: qui prodest litigare?
Fino agli inizi Duemila invece era un piacere inconfessabile trovarsi contro. Contro un muro, ad esempio, l’Europa ci ha litigato per sessant’anni.
Nel 1979 fare quello che faceva Roberto Cacciapaglia era roba sul filo della fascinazione infantile verso quel Nuovo Mondo, che nel 1976 aveva dato la luce a “Music for Eighteen Musicians”. Eppure attraverso il setaccio del tempo lui ce l’ha fatta, là dove molti suoi detrattori sono scomparsi nel nulla e mai più torneranno a risplendere. A “Sei note in logica” è accaduto quel che è accaduto al vincente grammofono sul perdente fonografo del tanto altezzoso Edison, e dove tanta musica colta contemporanea di derivazione post strutturalista è perita in uno zoo di tecnosauri, ecco che è ancora lì, citato in libri (su tutti il bellissimo Superonda, di Valerio Mattioli) e riproposto in incisioni discografiche. Avremmo voluto presentare questa sera l’esecuzione integrale di “Sei note in logica”, ma siamo in attesa di digitalizzare lo spartito originale che è ancora su manoscritto in un armadio d’archivio (tutto vero!).
Comunque, Cacciapaglia non era un rifugiato nel nulla. Ce n’erano altri come lui: il compiano Piero Milesi, l’altrettanto compianto Giusto Pio, e con loro il fertile legame della primigenia new age culture europea, che trovò nell’interessantissimo Georges I. Gurdjeff l’imprimatur. E così Danilo Lorenzini, Michele Fedrigotti, Juri Camisasca, Alice (sì quella di Per Elisa), sotto l’egida di Antonio Ballista e Bruno Canino nutrirono e annaffiarono l’approssimata scientificità del celebre Franco Battiato, di cui proponiamo qui un brano reiterante per pianoforte tratto dal lato A de “L’Egitto prima delle Sabbie” (1978).
Poi c’è stato una altro Franco, ben più “franco” e scontroso: Donatoni, che questi qua li odiava tutti quanti a morte. E se il nero è tale in relazione al bianco, offriamo l’ascolto di un piccolo capolavoro come “Lumen” del 1975 per ricalibrare i parametri e offrire a voi utili strumenti di riflessione.
Vagante in contesti istituzionali (fu insegnante di lettura della partitura in Conservatorio a Milano fino alla pensione) ma in eterno scontro intellettuale con essi, Paolo Castaldi ha indetto un giuoco didattico al massacro contro il pubblico storicizzato, regalando pezzi di ironia al limite del virtuosismo concettuale. Questo, in particolare, si chiama “Scale” del 1970 e si stratta niente meno che di scale (infame enigmistica di ogni studente) intrecciate e inghirlandate in tutte le maniere. Lui è l’ultimo depositario del tipico esprit cinico e sapiente che fiammeggiava durante la litigiosa scena culturale di Milano di fine secolo XX.
Metidabondo e colmo di grande poesia, Giacinto Scelsi era, a nostro avviso, vicino allo spirito disinvolto di Castaldi ma con esiti completamente diversi e inaspettati: come un amico lontano che parla una lingua franitendibile.
A noi di Contemporarities piace il fraintendimento e il dispettoso Alvin Curran (romano di adozione) giunge a monito per non dimenticare di come John Cage sia stato, ancora una volta, padre spirituale irresponsabile per molta musica sfuggente. Per palati sopraffini ecco a voi “Saltando in padella”; in atto sentirete un processo di cottura dell’ascoltatore e della partitura simile ad alcune litanie aperte di Terry Riley.
Il compositore più minimalista, nel senso tecnico del termine, che noi di 19’40’’ abbiamo mai avuto l’occasione di conoscere è l’italiano Fulvio Caldini, più ripetitivo del ripetitore, più sintetico di ogni programma di sintesi, più matematico di una qualsiasi calcolatrice, talmente tanto da fare il giro e tornare all’inizio là dove vige la sacra frase “la ripetizione è un nuovo inizio”, producendo nell’ascolto attesa-disattesa eterna.
Sei brani, come sei parole italiane.
Come sei parole in illogicità.
Per gli appassionati di vintage videogame, domenica 9 dicembre, sempre alle h18, quattro performer ai sintetizzatori e il Collettivo Studio Antimateria ai visual eseguiranno un programma dal titolo “Arcade Music”:
Tim Geoff Follin (1970)
Ghouls ’n Ghosts Soundtrack [C 64 version] (1988)
Introduction
1st stage: Cemetery of the Executions and Floating Island on the Lake
2nd stage: Village of the Ruin and City in Flames
4th stage: Cave of the Crystals and Descent into the Abyss
5th stage: Castle of Loki / Lucifer
Paul Hindemith (1895-1963)
7 Stucke für drei Trautonium (1930)
Chino “Goia” Sornisi (1892-1968)
Un Petit Train électronique de Plaisir
Encore de memento
Molte cose che nascono dall’umano ingegno hanno un percorso circolare.
In taluni casi le traiettorie evolutive tendono a incrociarsi formando circoli concatenati.
Il fatto di non riuscire ad essere perennemente rettilinei, e dunque eternamente nuovi, proiettati cioè verso
un continuo oscuro futuro sta a significare che l’umano ingegno soffre di solitudine, e necessita di continui
momenti di confronto, rimodulazione e ripensamento.
Il concetto di videogame ha fatto il giro ed è al punto in cui è il concetto rock’n’roll: è diventato un classico, e quando si diventa un classico
vi si approccia con il rispetto di un pubblico adulto. Del resto il primo consumatore di videogame potrebbe avere adesso la veneranda
età di cinquant’anni, o più se si considera che il progenitore di tutti gli home videogame è “Pong”, anno 1976.
Ad esempio, coloro che hanno vissuto l’esperienza domestica del Commodore 64, o dello ZX Spectrum ricordano la fatica del percorso di carica di un videogame su cassetta con i suoi minuti di lunghissime attese e le partite febbrili contro mostri di fine schema rognosissimi. Ma molti dettagli erano ammantati di mistero: se le case di produzione fossero americane o giapponesi, quanto durava un intero videogioco (tutorial? Questo sconosciuto!), se erano tradotti in lingua corrente o in un verbosissimo inglese pre-internet.
Forse, però, la componente di rilievo più prossima a raggiungere il cuore e la corteccia cerebrale del videogiocatore erano suoni e musiche:
nessuno avrebbe mai immaginato quanta potenza evocativa avrebbero avuto nel tempo la musica SuperMario, gli effetti sonori di Pac-Man, la sigletta di Bobble Bobble e centinaia di quei music toys, come li chiamerebbe Raymond Scott. È un errore ridurre tutto questo a mera sociologia del consumo di massa: è stata grande la capacità evocativa di un mondo che forse, proprio per i suoi “misteri” e le sue limitazioni, aveva molto da comunicare. Secula seculorum.
L’inglese Tim Follin oscuro smanettone adolescente degli anni ’80, compose le musiche su 8 bit di alcuni capisaldi del platform game; al tempo, i mezzi dell’8 bit erano una necessità e non semplice scelta post-moderna, e gli esiti erano assolutamente ragguardevoli (http://www.19m40s.com/blog/2016/12/22/how-do-you-like-videogames). Di quelle musiche ce ne sono alcune che, per ragioni di validità intrinseca, abbiamo deciso di mettere a disposizione dell’ascoltatore attraverso una trascrizione per un ensemble elettronico “suonante”. Di Tim Follin presentiamo l’intera colonna sonora della versione Commodore 64 di Ghouls ’n Ghosts del 1988 (di Tokuro Fujiwara uscito per Capcom come sequel di Ghost’n’Goblins), platform game con un cavaliere in armatura impegnato nell’audace impresa di salvare la sua bella da un terribile Loki/Lucifer volante.
Per quanto Arcade, è un termine davvero specifico per il mondo del video game, noi lo abbiamo esteso a coprire un raggio più ampio (e che nessun purista ce ne voglia). Come certa musica sinfonica nata prima e fuori dal mondo del cinema si adatta perfettamente alle immagini, certa musica elettronica sarebbe incredibilmente aderente a video game visionari ancora da inventare o già esistiti (Marble Madness? Antarctic Adventure? Arkanoid?).
Nella musica, sempre ingorda di tempo, non è più vero che l’orologio fermo di Carroll segna solo due volte il tempo giusto e da quando l’elettricità ci si è messa di mezzo tutto quanto sembrerebbe durare all’infinito. Quel misterioso e pressoché sconosciuto musicista Chino “Goia” Sornisi (1892-1968) ebbe l’ardire di passare dalla musica su carta all’esecuzione attraverso strumenti a tastiera elettrica, senza passaggi intermedi, e senza che ancora i treni elettrici a corrente continua fossero nel progetto delle benemerite FFSS…
E alla stessa maniera il tedesco Paul Hindemith (1895-1963), che ha scritto qualcosa per ogni strumento d’orchestra esistente allora in occidente, compose un corpus di piccoli brani per tre Trautonium, oscuro strumento elettronico monofonico inventato da Fredrich Trautwein nel 1929 (la Telefunken ne produsse circa 200 esemplari a partire dal 1933). Noi non ne possediamo neanche uno ovviamente!
Ma faremo di necessità virtù con i sintetizzatori disponibili alle nostre latitudini e ai nostri portafogli.
Assieme alla musica, nella migliore tradizione di Contemporarities, dei visual reinventeranno l’immaginario pixelato e stilizzato.
L’età anagrafica del pubblico determinerà senza alcun dubbio il tipo di approccio all’ascolto.
E contiamo, ovviamente, nella varietà affinché non resti solo inutile operazione-nostalgia ma una stimolante scoperta (perché no?) musicologica.
In ultimo, un po’ come fosse un concerto di Natale per tutte le età, domenica 16 dicembre, h18, andrà in scena (è il termine più adatto) “Storia di Pinocchio”, ovvero l’esecuzione della colonna sonora dello storico sceneggiato RAI di Comencini del 1972composta dal milanese Fiorenzo Carpi.
Alla lettura dell’opera di Collodi la voce migliore possibile: Francesco Bianconi.
Assieme a lui e all’ensemble Esecutori di Metallo su Carta diretto da Marcello Corti, i disegni dal vivo di Olimpia Zagnoli.
Questa sarà una giornata senza castelli, né giardini incantati, né draghi sputa fuoco o cavalieri erranti.
Oggi, cari miei, ci saranno solo buffi personaggi e grottesche situazioni.
Per coincidenza, comparirà più volte una povera, bistrattata e (ormai) effimera creatura, un famoso animale da soma, erroneamente ostracizzato per la sua cocciutaggine, più che per la sua intelligenza. Ma la caratteristica del somaro è di essere testardo fino all’inverosimile e per quello quando qualcuno
si permette di darci dell’asino dovremmo essere felici e dire “grazie del complimento!”. “Asino” si dice in maniera diversa a seconda della regione d’Italia: sciappafalask in Abruzzo, ciuccio in Campania e Calabria, asan nel Canton Ticino, mus in Friuli Venezia Giulia, uòssene in Liguria, ainu in Sardegna…ce ne sono ancora tantissimi! Questo perché il ciuchino è animale assai celebre e Pinocchio lo imparerà a sue spese…ma la sapete la storia, no?
Accipicchia, tutti la sanno, ma nessuno l’ha letta.
Vero?
Il signor Carlo Terzi Lorenzini detto il “Collodi”, per via del paese natio in provincia di Pistoia, scrisse questa fola a puntate dal titolo “Le avventure di Pinocchio” che veniva pubblicata sul “Giornale per i bambini” tra il 1881 e il 1883, e lo fece così, quasi per celia. Mica lo sapeva che sarebbe divenuta una delle più importanti storie di formazione per i giovani di tutto il mondo! Noi di 19’40’’, che siamo (al contrario della storia) uomini veri divenuti Pinocchi, saremmo stati felici di stringere la mano a questo autentico genio della critica giornalistica (a tal proposito consigliamo la lettura delle “Opere” di Collodi nell’edizione Meridiani Mondadori).
Eppure così fu, e nel 1972 Luigi Comencini diresse la più bella trasposizione filmica di sempre (in barba a Disney e a Benigni), talmente bella da aver dato per sempre il volto di Nino Manfredi a Geppetto, Franco e Ciccio al Gatto e alla Volpe e la musica del milanese Fiorenzo Carpi come motore immobile della condizione pinocchiesca che è insita in tutti noi. Il compositore Carpi ha avuto modo di dimostrare il suo valore soprattutto nella musica di commento teatrale e cinematografica, cosa non da poco perché significa avere una sensibilità particolare e una disposizione d’animo nobile, adatta al dialogo e alla dialettica. Forse non tutto lo sanno ma mica è facile lavorare con i registi!
La colonna sonora de “Le avventure di Pinocchio”, ricostruita e selezionata da noi per piccolo ensemble, è un vero miracolo di tenerezza, qualcosa che incarna come non mai le incertezze di tutte le infanzie possibili. E questo miracolo avviene attraverso una manciata di temi e un grappolo di accordi, miscelati con una semplicità disarmante.
Quando abbiamo pensato di imbastire questo prezioso concerto natalizio, abbiamo subito pensato alla voce evocativa di Francesco Bianconi, la persona perfetta per spirito e talento. E pure (perché no?) per la cadenza dolcemente poliziana. Ormai scomparso Paolo Poli, nessun altro al mondo avrebbe potuto interpretare il ruolo di narratore di questa incredibile storia. E mentre le Avventure di Pinocchio si faranno parole e musica, la bravissima Olimpia Zagnoli, con i suoi colori essenziali e il tratto sagace, completerà il tutto con le figure, per la gioia dei grandi e dei piccini.
Tutto è pronto ora. E dunque:
—C’era una volta….
— Un re! — diranno subito i miei piccoli lettori.
— No, ragazzi, avete sbagliato. C’era una volta un pezzo di legno.