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Eterni lo sono senza alcun dubbio i suoi figli, le sue appariscenti creature cartacee e, in tempi più recenti, digitali, soprattutto le sue intuizioni, valide ed attuali oggi esattamente come lo erano agli inizi degli anni ‘60 quando rivoluzionò il mondo dell’editoria con la formula “supereroi con super problemi”.
Pleonastico dilungarsi sul cosa sia e in cosa consista la sua intuizione; è più intrigante, invece, stabilire quali effetti abbia suscitato l’introduzione del “neo” nel senso stesso dell’eroe.
Infatti, se nella concezione per Lee, il supereroe rifletteva in tutto e per tutto la potenza, l’invincibilità, la superiorità propria delle figure mitiche e mitologiche del Pantheon greco romano, mediante il recupero dell’essenza e della ragione stessa per cui l’essere umano volge lo sguardo al trascendente, è utile osservare come l’idea che sottende la visione di Lee sia infusa di tragedia, nella concezione ellenica del termine.
Gli dei, semidei e regnanti sono potentissimi ma in uguale misura, volubili, capricciosi, fallaci. Gli eroi, per quanto super, come Ercole, Icaro, Achille, sono vulnerabili nelle loro passioni. Hanno invariabilmente il proprio tallone. In ciò sta il colpo d’ala di Stanley Martin Lieber, che da ebreo come Bob Kane, Jerry Siegel e Will Eisner, seppe raccontare l’America dei Wasp.
Quando Siegel in coppia con Shuster, proposero Superman, anteposero un insuperabile baluardo contro la Grande Depressione avviata dalla crisi economica del 29, al gangsterismo su vasta a scala, al senso di sconfitta individuale e sociale che avvolse come tenebra gli americani. I quali, grazie a Superman, videro riaccendersi la fiammella della speranza. Almeno per tutta la lettura di Action Comics.
L’affermazione dell’Uomo d’Acciaio favorisce la fioritura di una nuova stirpe di eroi/divinità moderne: velocissimi, forti, invulnerabili, in grado di volare, emettere ogni sorta di raggio mortale e di comandare gli elementi atmosferici. Fisicamente sono perfetti. di una perfezione formale, plastica, greco romana.
Le donne sono tutte avvenenti come Afrodite/Venere e abili come amazzoni e Diana Cacciatrice. Gli uomini per abilità, coraggio e forza ricordano Ares e Apollo (Supeman, nella stesura originale calzava addirittura dei sandali con lacci, che durante la fase di stampa furono accidentalmente coperti uniformemente di rosso, trasformandoli per sempre in stivali) e Ermes – Mercurio (Flash, Quicksilver), Poseidone – Nettuno (Aquaman, Namor). Appare evidente come si sia attinto a piene mani dal mito.
Come ogni processo di riscrittura impone, i supereroi, più d’ogni altro genere fumettistico, sembrerebbero il risultato di più influenze: e a queste influenze volge lo sguardo Lee.
Quando riavviò la Marvel, l’America è un luogo diverso e i suoi eroi-super sono figli di quel cambiamento. Hanno tutti le caratteristiche per essere divinità, ma ognuno ha il suo punto debole, cicatrici in profondità che ne minano le certezze.
I personaggi a cui dà vita hanno crisi sentimentali, difetti fisici, problemi economici. In questo gioco allo specchio, il lettore passa dall’adorazione all’identificazione. I supereroi adempiono dunque ad una funzione diremmo quasi sociale; così come le divinità lo erano per le civiltà classiche, essi divengono numi tutelari delle società moderne. Vigilano, le proteggono, le condizionano.
Del resto, Superman nacque negli anni della Depressione e Torcia Umana,Trottola, Capitan America, Namor, solo per citarne alcuni, fecero il loro ingresso sulla scena proprio durante la Seconda Guerra Mondiale come campioni del mondo libero. La dimensione di questi personaggi che volano e scagliano montagne come sassolini contro temibili supercriminali è dunque assurta a livello mitico, in particolare quella relativa ad un certo Arrampicamuri…
Ci si riferisce neanche a dirlo a Spider-Man o come è stato lanciato in Italia dall’Editoriale Corno, l’Uomo Ragno: probabilmente è il supereroe più celebre della Marvel e l’intuizione più stupefacente di Stan Lee. Spider-Man è detentore del record di testate a fumetti e protagonista di sette film e di una serie televisiva negli anni ‘70: un successo sorprendente per uno iellato, un maldestro, un autentico nerd a suo agio solo tra alambicchi e provette. Eppure, proprio la sua peggiore debolezza, diviene la sua maggior forza.
Tutti gli adolescenti del mondo, ma anche i meno giovani a dirla tutta, si riconoscono nelle innumerevoli difficoltà quotidiane di Peter Parker ad essere accettato dai compagni di liceo, dalle ragazze, da un mondo che sembra non volerlo proprio. Quando poi viene morso dal ragno radioattivo, il suo riscatto è la rivalsa di tutti. Spider-Man, il cui trattino nel nome è l’anello di congiunzione tra gli aracnidi e gli umani, ha reso eroi tutti i lettori, che sparano le ragnatele con lui, e si lanciano nel vuoto da un palazzo all’altro. Tutti prendono a calci nel sedere Goblin e tutti baciano Mary Jane.
La formula che preserva questo sentimento, diremmo, simbiotico tra personaggio e lettore, che poi è il più grande primato del Ragno su ogni altro personaggio, sta nella netta contrapposizione tra il senso del meraviglioso che irradia da ogni tavola, e l’umana fragilità che fa da contraltare alla condizione del supereroe. Comprendente tutta la gamma di sfumature psicologiche.
Nella dimensione iperbolica in cui Spider -Man agisce, l’eroe nella suo sforzo mitico, commuove, esalta, elettrizza con tutta la sensibilità e l’ingenuità di un giovane che improvvisamente viene travolto da qualcosa immensamente più grande di lui. Ma a cui si oppone con la forza e l’agilità di un Ragno moltiplicata per cinquecento volte e col “senso di ragno”, altro colpo di genio del Sorridente Stan. Sullo stesso piano metaforico si colloca “Il Gruppo di Supereroi più insolito di tutti i tempi”: gli X-Men.
Un’esemplare parabola sul bene e sul male che obbliga il lettore a fare i conti coi pregiudizi di stampo razziale, mettendo a nudo in modo impietoso la paura del diverso. Si pensi a Beast e Angelo, due membri storici del gruppo. Esemplari nell’essere metà della stessa moneta. Uno terribilmente grottesco, eppure dotato di una intelligenza superiore e di una profonda inclinazione verso la filosofia, l’altro bellissimo e ricchissimo eppure messo alla berlina dalla sua stessa famiglia a causa della sua mutazione genetica: quel paio d’ali che gli consentono di librarsi in volo.
Nella debordante carica dinamica di cui le storie sono impresse, l’equilibro e il sapiente dosaggio dell’elemento drammatico mette Lee al riparo da luoghi comuni e trattazioni stereotipate grondanti retorica: percezione confermata anche nella lettura a posteriori. La visione drammatica di “The Man”, uno dei nomignoli con cui si firmava, è meno banale di quanto si pensi, il passaggio dalla tragedia alla soap opera è solo questioni di dettagli: come purtroppo mostrerà Chris Claremont allorché gli X-Men e relativi tentacolari intrecci amorosi /famigliari gli sfuggiranno di mano o come stanno lì a testimoniare malinconicamente serie televisive come Arrow, Supergirl e Flash.
Ai super problemi, Stan Lee, sia in veste di autore che di Direttore Editoriale della Marvel, combina un’ interazione sorprendente – per essere prodotti di largo consumo! – con i fenomeni sociali e di costume.
Per dire: quando negli Usa deflagra il Watergate e la fiducia nell’establishment è ai minimi termini, Capitan America diventa Nomad, così come sulla scia della Blaxploitation, a sua volta generata dal Movimento delle Pantere Nere, prendono vita personaggi come Falcon, Black Panther e soprattutto Luke Cage-Power Man.
Le contaminazioni abbracciano ogni ambito: il successo di Bruce Lee e dei suoi film, suggeriscono, ad esempio, Shang-Chi, i Figli della Tigre e Iron Fist; l’horror cinematografico di pellicole come L’Esorcista e La Notte dei morti viventi, conduce alla riscrittura di classici come Dracula e Frankenstein e alla creazione di Ghost Rider, Blade, Il Figlio di Satana, Morbius, Simon Garth.
Come ogni individualità in grado di stravolgere le regole, di creare innovazione, di far fare uno scatto in avanti all’evoluzione, in questo caso, della narrazione a fumetti, Stan Lee è stata una figura controversa. I suoi contasti con Steve Ditko, e con la sua controparte, Jack Kirby, lo raccontano come un accentratore dai principi non di rado eccepibili. Tant’è, la vicenda umana comprendente gli esordi, appena diciassettenne, l’ascesa, la moltiplicazione dei media fino all’approdo al Cinema, è un’altra pagina di una storia densa di luci ed ombre ma oggettivamente irripetibile.
Circoscrivendo la critica al solo ambito narrativo, è lecito muovere rimproveri tanto sul piano della fedeltà, laddove pur concedendo una certa elasticità necessaria nel ricostruire e condensare saghe lunghe decenni, alcuni personaggi sembrano alterati negli snodi principali e nella loro stessa natura, quanto per l’aver accettato alcune scelte a dir poco discutibili nelle trasposizioni cinematografiche (in cui, però, non manca mai il suo graffio d’autore, quei cameo percepiti dagli spettatori-fans come degli appuntamenti fissi), contrassegnate da un eccesso di buonismo da un lato, un ricorso compulsivo al politicamente scorretto dall’altro.
O l’aver accolto l’introduzione di ammodernamenti grafici che vanno da un certo ammiccamento ai Manga, all’iperrealismo, fino a forzature come talune inquadrature cinematografiche che poco o nulla hanno a che fare con l’immediato dinamismo del medium di carta.
Al netto di ciò, il lascito di Stan Lee è incalcolabile. Lui è andato ma Spider-Man, Mr Fantastic, Iron Man, Fenice, Hulk, Thor, Wolverine, Ciclope, Dr Strange, Dare Devil, Freccia Nera, Nick Fury, Tempesta, Vedova Nera, Silver Surfer, Ikaris, Warlock e molti altri ancora, restano.
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