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Il nome Richard Twice risveglierà sicuramente le sinapsi di tutti i collezionisti di dischi della scena psichedelica californiana anni sessanta/settanta. Il vinile dell’album omonimo, abbastanza raro (ma non rarissimo), è tra le gemme misconosciute della psichedelia pop americana : un segreto ben nascosto, purtroppo.
Matthew Salton in tempi recenti – nel 2017 – ha però, con un breve cortometraggio (tra documentario ed animazione), dato voce alla storia dei Richard Twice e, in particolar modo, di Richard Atkins, mente ed anima vera e propria del duo musicale.
Le ragioni, che hanno portato il regista ad ideare una testimonanianza audiovisiva della vicenda umana ed artistica di Richard Atkins, sono chiari e limpide, come si legge in un’intervista al New York Times online del 2017 :
“Come molte persone oggi, non avevo mai ascoltato l’unico album di Atkins, “Richard Twice” (chiamato così per i due Richard : Atkins e il suo compagno di gruppo, Richard Manning). Ma quando ho ascoltato le canzoni, quasi interamente perse nella storia, le ho amate e ho pensato che l’avrebbero fatto anche altre persone. Così abbiamo deciso di raccontare la sua storia : dalla sua (bella) musica e resistenza di fronte alle difficoltà all’accettazione del passato e del dove quest’ultimo ti possa portare”.
Viene così rievocato il vissuto (musicale e non) di Atkins, giovane ragazzo (negli anni sessanta) che, dopo aver subito un grave incidente in moto, comincia – per la prima volta in vita sua – a suonare la chitarra per lenire il dolore del periodo postoperatorio – gli era stata amputata una gamba – arrivando a comporre e registrare i primi brani nel 1968, per poi pubblicare nel 1970 un disco per la Mercury Records con la Wrecking Crew*, salvo poi sparire nel nulla dopo uno showcase disastroso in un club di Hollywood e finire a fare il falegname evitando qualsiasi contatto con la musica per più di quarant’anni.
A risuonare forte e chiaro – nei dieci minuti di durata del mini film – è un messaggio dolceamaro : la bellezza salvifica della musica che, in primo momento fa uscire Atkins dallo spettro della sofferenza fisica, ha la peggio sul destino beffardo.
Per fortuna, però, che c’è un lieto fine (se così si può chiamare) : Atkins, come si vede anche nel finale del corto, ha ripreso la chitarra in mano e suona, canta come se il tempo non fosse passato.
Va ricordato che il suo (unico) disco del 1970 è un piccolo gioiello di pop, folk e psichedelia : la forza non è, però, solo nelle canzoni ma a far la grande differenza sono anche gli arrangiamenti e le interpretazioni (in studio) dei musicisti, ossia i migliori session man degli anni sessanta (la già citata Wrecking Crew), gente come Larry Knechtel dei Bread, Louis Shelton dei Monkees, il batterista di Elvis Ron Tutt, James Lowe degli Electric Prunes, Drake Levin dei Paul Revere & the Raiders.
Indietro negli anni sessanta non si ritorna ma la musica di Atkins merita di essere riscoperta.
E il corto di Stalton è, senza ombra di dubbio, un ottimo punto di partenza perché la narrazione di “Richard Twice” (il film), profonda e leggera come i tratti scelti per l’animazione in bianco nero, descrive al meglio i chiaroscuri di il vissuto (artistico ma non solo) tra tristezza e felicità.
Film da recuperare, quindi, per poter apprezzare un musicista dimenticato.
Il cortometraggio, proiettato in varie manifestazioni cinematografiche in giro per il mondo, è passato anche da il Seeyousound – festival internazionale di cinema musicale – di Torino ed è disponibile in streaming online su Vimeo.
*Wrecking Crew – nome con cui è noto un numeroso gruppo di session man in diverse produzioni discografiche degli anni sessanta
(Monica Mazzoli)