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Volge al termine un anno contrastante su vari fronti. Tra accadimenti socio/politici (italiani e soprattutto esteri) e drammi di tutti i giorni la musica si è fatta spazio a colpi di punk, “revival” psichedelico e canzone d’autore, con la Gran Bretagna ideale centro della nuova rivoluzione…almeno per quel che riguarda la seguente lista. Dagli inossidabili Low agli energici Idles, passando per la talentuosa Lucy Dacus, lo sfrontato rilancio degli Arctic Monkeys e la conferma dei Suuns a grande, forse migliore band degli anni Dieci: questo e altro nel mio settimo award firmato per Kalporz.
TOP ALBUM 2018
1) IDLES, “Joy As An Act Of Resistance” (Partisan) Una bomba atomica democraticamente eletta a disco dell’anno della nostra webzine. Rabbia – impegno – sentimento: ciò che mi hanno trasmesso le canzoni dal secondo lavoro degli Idles guidati dall’ottimo Joe Talbot. Duri, scorbutici, reali.
2) SPIRITUALIZED, “And Nothing Hurt” (Fat Possum) Il ritorno di Jason Pierce a sei anni da “Sweet Heart, Sweet Light” potrebbe coincidere con l’ultimo album in studio degli Spiritualized. Se fosse vero (ma mi auguro di no) siamo davanti al testamento della sua anima di martire e genio.
3) ICEAGE, “Beyondless” (Matador) Il quartetto di Copenhagen all’apice della metamorfosi iniziata in “Plowing Into The Field of Love”: si sacrifica la new-wave di base a favore di un taglio rock’n’roll che unisce Doors, Nick Cave e The Brian Jonestown Massacre.
4) LOW, “Double Negative” (Sub Pop) Il trio di concittadini di Bob Dylan festeggia un quarto di secolo di attività pubblicando l’ennesimo capolavoro, innovativo e viscerale come lo sono stati ai tempi “I Could Live In Hope” e “Things We Lost In The Fire”.
5) ARCTIC MONKEYS, “Tranquility Base Hotel + Casino” (Domino) Avrà diviso i fan e la critica, ma il nuovo album delle scimmie ha conquistato le classifiche di mezza Europa e incassato le lodi di Pitchfork e Spin, spesso e volentieri poco tenere con le band inglesi.
6) PAUL WELLER, “True Meanings” (Parlophone) Il Modfather dà lezione di scrittura ed eleganza in un assortimento di ballate folk orchestrali, dove riflette sul meaning of life (“Bowie”) e sul pattern in things (“Aspect”); ospiti nelle sessions Lucy Rose e Noel Gallagher.
7) CLOUD NOTHINGS, “Last Building Burning” (Wichita) Stavo ancora ascoltando “Here And Nowhere Else” perchè non credevo in (una) “Life Without Sound”, quando è uscito quest’altro discone. Breve ma di spessore. Jawbreaker e Dinosaur Jr i nomi tutelari di Dylan Baldi nel 2018.
8) SUUNS, “Felt” (Secretly Canadian) La band di Montreal – i Radiohead canadesi? si autoproduce per il quarto album in nove anni e iscrive ai must dal vivo perle quali “X-Alt”, “Peace And Love” e la futuristica “Watch You, Watch Me”.
9) NENEH CHERRY, “Broken Politics” (Smalltown Supersound) L’interprete svedese classe ’64 sa ancora emozionare e conferma quanto di buono aveva dato “Blank Project” del 2014, with a little help from Kieran Hebden and Robert 3D Del Naja.
10) MARLON WILLIAMS, “Make Way For Love” (Dead Oceans) L’eclettismo in un classico dei nostri giorni, che quando non omaggia i padrini del soul (“What’s Chasing You”) o la dinastia Buckley (“Love Is A Terrible Thing”) ci fa ballare con “Party Boy”.
11) STEPHEN MALKMUS & THE JICKS, “Sparkle Hard” (Domino) Dimostra che l’indie-rock cucinato con esperienza e versatilità è ancora un piatto succulento.
12) LUCY DACUS, “Historian” (Matador) Canzoni di grande profondità e sapore anni novanta per un secondo album che batte sulla distanza quello di Courtney Barnett.
13) EZRA FURMAN, “Transangelic Exodus” (Bella Union) La sorpresa degli ultimi mesi, approfondirò la già vasta opera di questo rocker bizzarro e concettuale.
14) THE GOOD, THE BAD & THE QUEEN, “Merrieland” (Studio 13) Gli effetti disturbanti della Brexit fanno capolino nel ritorno del supergruppo di Damon Albarn e Paul Simonon.
15) ANY OTHER, “Two Geography” (42 Records) Cresce il progetto di Adele Nigro, orientandosi verso sonorità soul e folk interpretati in modo originale e abbastanza unico nella scena italiana.
16) SHAME, “Songs Of Praise” (Dead Oceans) L’esordio di cinque giovani londinesi è disco dell’anno per Rough Trade, specchio di una generazione angosciata che non vuole risparmiare nessuno – come Mark E. Smith insegna.
17) SUPERCHUNK, “What A Time To Be Alive” (Merge) L’energia che abbatte “la feccia, la vergogna e le fottute bugie” è tutta in questi undici pezzi: trent’anni dopo le cose nell’America dei Superchunk non sono cambiate.
18) THE LEMON TWIGS, “Go To School” (4AD) Una rock opera, anzi un musical nel 2018 te lo puoi aspettare solo dai fratelli D’Addario. Ma farne protagonista uno scimpanzè, è obiettivamente superare i “maestri” Jim Steinman e Pete Townshend.
19) SUEDE, “The Blue Hour” (Warner) Pochissime band dopo la reunion hanno saputo mantenere alto il livello come i Suede degli ultimi tre album, “The Blue Hour” si distingue per l’alternanza di rock viscerali a sinfonie melodrammatiche.
20) THE BETHS, “Future Me Hates Me” (Carpark) Il disco del trio di Auckland è stato colonna sonora dell’estate. Il loro power-pop dalle venature jangle li avvicina ai conterranei Salad Boys, forte è però il retrogusto emo nei testi di Elizabeth Stokes.
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LA COPERTINA DEL 2018
LA SONG DEL 2018
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IL VIDEO DEL 2018
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(Matteo Maioli)