• DOVES, Some Cities (Heavenly / EMI, 2005)

    Che ai Doves piacessero i chiaroscuri lo si era intuito fin da quel piccolo capolavoro che è il loro album d’esordio “Lost Souls”, ma con “The Last Broadcast” avevano aumentato le tonalità, aggiunto qualche colore – non tanti, a dir la verità – alle trame malinconiche del primo lavoro, e avevano iniziato a sperimentare pur…

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  • ED HARCOURT, Strangers (Heavenly, 2004)

    Ovvero, come essere costretti a risvegliarsi da un piacevole sogno. Giunto alla terza opera sulla lunga distanza (la quarta se si considera lo splendido EP d’esordio “Maplewood”) Ed Harcourt non è oramai più una sorpresa per nessuno. E il problema è forse solo tutto qui: le dodici canzoni presenti in “Strangers” sono tutto quanto uno…

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  • ED HARCOURT, From Every Sphere (Heavenly, 2003)

    Non deve essere stato facile per Ed Harcourt dare vita al seguito di “Here Be Monsters”, album che nel 2001 aveva fatto gridare al miracolo gran parte della critica e aveva portato sulla bocca di tutti il nome di questo giovanissimo cantante/autore/polistrumentista. E’ vero che il ragazzo ha sempre affermato di avere da parte una…

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  • BETH ORTON, Daybreaker (Heavenly/EMI, 2002)

    Terzo album per questa piccola cantautrice inglese, che arrivò nel 1996 a sorprendere tutti con un album che gettava ponti tra il folk e l’elettronica; l’album si chiamava “Trailer park”, e, come il suo magnifico successore “Central reservation”, sembrava una scintilla nel buio, atipico e bellissimo nel suo essere fuori dalle mode del momento. Canzoni…

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  • DOVES, The Last Broadcast (Heavenly Recording, 2002)

    C’era molta attesa per questo album, dopo l’ottimo debutto con “Lost souls”. Jez ed Andy Williams, insieme a Jimi Goodwin, hanno preparato la loro seconda prova lungo l’arco di un anno, spostandosi da uno studio all’altro. Essendo nativi di Manchester, i tre si sono spesso ritrovati ad essere una risposta casalinga allo strapotere musical-mediatico dei…

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  • ED HARCOURT, Here Be Monsters (Heavenly, 2001)

    I sei brani contenuti nel mini CD di esordio (“Maplewood”) avevano scosso non poco una buona parte della critica musicale, sempre impegnata nella ricerca della Next Big Thing. Il suono quasi amatoriale di quelle tracce non impediva loro di brillare di luce propria, anzi, in qualche modo questa rugginosità forniva ancora più fascino al contesto.…

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  • ED HARCOURT, Maplewood (Heavenly, 2000)

    “…Ragazzino, tu farai strada!…”. Quante volte ci è capitato di ascoltare questa predizione, magari in un film o da qualche parente in vena di bontà assortite. Eppure, qualche volta il destino ed il talento si alleano, e questo sembra proprio il caso in questione. Ed Harcourt è, appunto, un ragazzo di 23 anni del Sussex,…

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Se potessi ripercorrere in un attimo, nuotando controcorrente, le rapide di questo fiume oramai giunto al suo estuario, nella estrema fissità di questo mio prossimo viaggio nella noia orizzontale, sceglierei gli anni in cui la volta celeste non era altro che un enorme lenzuolo fatto a cielo e la luna una palla polverosa gettata nel vuoto e catturata con le unghie dall’egoismo del pianeta Terra. E noi, bimbi, cadevamo con essa per sempre, aggrappati in un infinto sprofondo gli uni agli altri, grazie a un gomitolo di lana nera. I grandi dimenticarono in fretta di avere un mondo con certe stelle enormi, sopra il capo, da osservare, mentre noi sacrificavamo la nostra noia migliore per costruire ponti sospesi nello spazio che ci allacciassero a un’agognata luna. La dipingemmo butterata e funesta, con maremoti sulla superficie di un ponto che non era mai tranquillo, ma tutta una schiuma fremente di gorghi e mostri marini. Nuovi esseri di ordinaria malinconia calpestavano un tappeto soffice come zucchero filato sparso su una teglia, in cui si radicavano piante cresciute dolci come torroni. Altre volte immaginammo un balzo da gigante come in mongolfiera, le tante mongolfiere tipiche di una domenica d’estate, un balzo che ci consentisse di fuggire all’avarizia terrestre e alle sue costrizioni. In anni in cui razzi enormi arrugginivano in volo, pensammo a uno sgangherato proiettile cavo sparato negli occhi della luna come nei film dei Meliès, in cui potessimo accovacciarci per il viaggio, assieme ai nostri migliori amici. Ma poi venne il tempo di un leggero disincanto, e, anche sognando a occhi aperti, non potevamo far altro che immaginarci tute e scafandri e missili scagliati a violentare qualche nuovo cielo. E poi, al ritorno, schivare incredibili uragani e tempeste, per posarci placidamente in un mare che ci accogliesse come un telo. Eravamo certo molto giovani e molto felici e pensavamo, con rabbia, di non dover invecchiare mai. (Matteo Marconi) Le puntate precedenti Back To The Future Vol. 9 - Stuart Adamson morì nel 2001 e nessuno ne parla più Back To The Future Vol. 8 - I Vines e il Verona dell'84-'85 Back To The Future Vol. 7 – “I figli degli operai, i figli dei bottegai!” Back To The Future Vol. 6 - Ekatarina Velika (EKV) Back To The Future Vol. 5 - Gli Air sul pianeta Vega Back To The Future Vol. 4 – “Stay” e gli angeli degli U2 Back To The Future Vol.3 - La lettera dei R.E.M. e di Thom Yorke Back To The Future Vol. 2 – Massimo rispetto per i metallari (1987-89) Back To The Future vol. 1 – L’estate di Napster 14 settembre 2010