Ascolta “Death of a Manifesto”.
I nuovi territori di “Dying In Time”, il rapporto con la critica musicale, i concerti nell’Est Europa ed il duro lavoro di musicista post-dance. Chiacchierata via email con Attilio Bruzzone dei Port-Royal. Ascoltando (e riascoltando) il vostro ultimo album “Dying In Time” mi è parso di notare la precisa volontà di esplorare nuovi territori musicali…
Ascoltare un disco dei Port-Royal significa lasciarsi accompagnare per i meandri ovattati di una dimensione surreale, dove spazi e tempi si dilatano all’inverosimile e la mente si ritrova a percorrere sentieri suggestivi ed altamente emozionali. Ormai questi ragazzi genovesi sono nell’appagante condizione di non dover più dimostrare niente a nessuno: è bastato il fulminante esordio…
Il fatto accertato è che i Port-Royal rappresentano una delle migliori espressioni dell’attuale suono elettronico italiano. Si inseriscono perfettamente nel panorama europeo evocando le più consolidate realtà del magma post post-techno. Queste considerazioni non traggono spunto solamente dall’attuale “Flared Up” e da “Flares” (Resonat, 2005), seme dal quale l’ultimo lavoro prende vita. Infatti, se consideriamo…
Dietro alla maggior parte dei dischi per cui i critici usano termini come “paesaggi sonori”, “rarefazioni” o “dilatazioni strumentali”, spesso si nascondono noia e riproposizioni di cliché post-rock che sono ormai diventati talmente comuni da risultare stucchevoli. Anche questo “Flares”, debutto sulla lunga distanza dei genovesi Port-Royal, rischia, ad un ascolto distratto, di essere liquidato…