• MILES DAVIS, Kind Of Blue (Sony, 1959)

    Classe. Penso che se si dovesse riassumere l’essenza di questo disco in una sola parola, questa sarebbe sicuramente Classe. “Kind of Blue” è uno dei 3 o 4 lavori più famosi e celebrati nella storia del jazz. Guardiamo un attimo gli interpreti: Miles Davis, John Coltrane, Cannonball Adderley e Bill Evans che suonano insieme non…

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  • TERENCE TRENT D’ARBY, Neither Fish Nor Flesh (Sony, 1989)

    Il secondo album del grande cantante di New York, atteso alla conferma commerciale dopo il precedente stravenduto “Introducing…”, si rivela così ostico per il grande pubblico da deludere le aspettative della sua casa discografica, tutta tesa a sfruttare il potenziale business di un sequel. Sicuramente “Neither…” non porta molto denaro in cassa, ma è un…

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  • BLUR, Parklife (Food Records, 1994)

    Se “Modern life is rubbish” bussava alle porte della celebrità, udendo solo un indistinto borbottio, “Parklife” quella porta l’abbatte semplicemente, come quei vecchi centravanti inglesi alla John Charles. Ed inglese, il terzo capitolo dei Blur, lo è fino al midollo, divenendo in breve un must per ogni collezionista amante del brit sound, o brit pop,…

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  • COUSTEAU, Cousteau (Palm Records, 2000)

    Jacques Cousteau, famoso oceanografo francese, dedicò una vita intera allo studio dell’elemento acquatico e dei suoi più o meno conosciuti abitanti. I Cousteau, inglesi a dispetto del nome, sembrano intrattenere l’unico rapporto con l’acqua attraverso una chitarra elettrica dal suono molto liquido, a tratti denso come un fiume in piena, altre volte limpido e riverberato…

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  • JOHN LENNON, Imagine (EMI Records, 1971)

    L’anno dopo lo scioglimento ufficiale dei Beatles, Lennon pubblica il suo album più famoso, trascinato dalla melodia immortale della title-track (coronata in vari sondaggi di fine secolo come più bella canzone del ‘900…sondaggi a parte, è decisamente un pezzo splendido, speranzoso e tollerante, direi la sublimaziome massima del vecchio spirito Sixties e di una stagione…

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  • PETER GABRIEL, Peter Gabriel III (Charisma/Virgin, 1980)

    Dopo due albums molto interessanti, talvolta con canzoni di grande spessore (“Here Comes The Flood”, “Solsbury Hill” e “Mother Of Violence”) l’ex carismatico front-man dei Genesis non aveva ancora espresso tutto il meglio del suo multiforme talento. Questo terzo lavoro apre il periodo d’oro della sua carriera, iniziando una ricerca sonora che darà vita ad…

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  • GIANT SAND, Chore of Enchantment (Thrill Jokey, 2000)

    E’ uscito questa primavera questo disco dei grandissimi Giant Sand eppure lo abbiamo colpevolmente ignorato per troppo tempo. C’erano altri dischi, altre novità che sembravano venire prima. Sembravano appunto, perchè quest’anno difficilmente troverete un lavoro di tale profondità. Quindi ci troviamo ad ascoltare quelle canzoni polverose che il vecchio Howe Gelb, da sempre la mente…

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  • YES, Close To The Edge (Atlantic, 1972)

    Comunemente considerato “l’album” per eccellenza degli Yes, nello stesso anno di “Fragile” e, ricordiamolo, di “Foxtrot” dei Genesis, esso porta a perfezione le loro caratteristiche e li assegna definitivamente alla categoria dei grandi. Qualcuno scomoda la definizione di pop sinfonico, espressione di rara bestialità: cosa significa “sinfonico” nel caso della musica leggera? La musica degli…

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  • SIGUR ROS, Agaetis Byrjun (Pias Recordings, 2000)

    Subito un consiglio spassionato: procuratevi con qualsiasi mezzo, anche con la forza, questo meraviglioso progetto degli islandesi Sigur Ros. Di fatto, si tratta di un vero e proprio poema sinfonico contemporaneo, un atto d’amore e di rispetto verso la loro terra, uno dei pochi angoli del mondo occidentalizzato ancora incontaminato. L’opera ha un magico fascino…

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  • THE KINKS, Arthur Or The Decline And Fall Of The British Empire (Essential Records, 1969)

    A volte mi domando se esistono più dei dischi così: mi rispondo di sì, anche per farmi coraggio. Chiaramente esistono, forse ciò che manca è una freschezza che potrebbe non essere più nei giorni in cui viviamo, appiattiti da una globalizzazione tanto suadente quanto subdola e feroce. Ray Davies crea uno dei suoi insuperati capolavori…

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Se potessi ripercorrere in un attimo, nuotando controcorrente, le rapide di questo fiume oramai giunto al suo estuario, nella estrema fissità di questo mio prossimo viaggio nella noia orizzontale, sceglierei gli anni in cui la volta celeste non era altro che un enorme lenzuolo fatto a cielo e la luna una palla polverosa gettata nel vuoto e catturata con le unghie dall’egoismo del pianeta Terra. E noi, bimbi, cadevamo con essa per sempre, aggrappati in un infinto sprofondo gli uni agli altri, grazie a un gomitolo di lana nera. I grandi dimenticarono in fretta di avere un mondo con certe stelle enormi, sopra il capo, da osservare, mentre noi sacrificavamo la nostra noia migliore per costruire ponti sospesi nello spazio che ci allacciassero a un’agognata luna. La dipingemmo butterata e funesta, con maremoti sulla superficie di un ponto che non era mai tranquillo, ma tutta una schiuma fremente di gorghi e mostri marini. Nuovi esseri di ordinaria malinconia calpestavano un tappeto soffice come zucchero filato sparso su una teglia, in cui si radicavano piante cresciute dolci come torroni. Altre volte immaginammo un balzo da gigante come in mongolfiera, le tante mongolfiere tipiche di una domenica d’estate, un balzo che ci consentisse di fuggire all’avarizia terrestre e alle sue costrizioni. In anni in cui razzi enormi arrugginivano in volo, pensammo a uno sgangherato proiettile cavo sparato negli occhi della luna come nei film dei Meliès, in cui potessimo accovacciarci per il viaggio, assieme ai nostri migliori amici. Ma poi venne il tempo di un leggero disincanto, e, anche sognando a occhi aperti, non potevamo far altro che immaginarci tute e scafandri e missili scagliati a violentare qualche nuovo cielo. E poi, al ritorno, schivare incredibili uragani e tempeste, per posarci placidamente in un mare che ci accogliesse come un telo. Eravamo certo molto giovani e molto felici e pensavamo, con rabbia, di non dover invecchiare mai. (Matteo Marconi) Le puntate precedenti Back To The Future Vol. 9 - Stuart Adamson morì nel 2001 e nessuno ne parla più Back To The Future Vol. 8 - I Vines e il Verona dell'84-'85 Back To The Future Vol. 7 – “I figli degli operai, i figli dei bottegai!” Back To The Future Vol. 6 - Ekatarina Velika (EKV) Back To The Future Vol. 5 - Gli Air sul pianeta Vega Back To The Future Vol. 4 – “Stay” e gli angeli degli U2 Back To The Future Vol.3 - La lettera dei R.E.M. e di Thom Yorke Back To The Future Vol. 2 – Massimo rispetto per i metallari (1987-89) Back To The Future vol. 1 – L’estate di Napster 14 settembre 2010